IL PECCATO È SEMPRE DI LESA MAESTÀ

“Omne peccatum in Deum committitur”: Ogni peccato è commesso contro Dio; cioè, dato che ogni peccato viola la legge di Dio, anche quando il suo risultato immediato è la sofferenza di altri esseri umani, in definitiva esso è commesso contro Dio stesso.

Quali sono le implicazioni di questo concetto?Quando Davide confessa affranto il suo adulterio ed omicidio, afferma: “Io conosco i miei misfatti, e il mio peccato è del continuo davanti a me. Io ho peccato contro te, contro te solo, e ho fatto ciò ch’è male agli occhi tuoi; lo confesso, affinché tu sia riconosciuto giusto quando parli, e irreprensibile quando giudichi” (Salmo 51:3-4).

Erano insensati e tardi di cuore, ma… (Luca 24:13-35)

Potrebbe Gesù stesso dire anche a noi di essere “insensati e tardi di cuore” quando non riconosciamo la sua presenza nella predicazione della Parola di Dio e nella celebrazione della Santa Cena? Ci confrontiamo oggi con il racconto dei due discepoli che camminano sulla via di Emmaus e ai quali appare Gesù risorto, come lo troviamo nel capitolo 24 del Vangelo secondo Luca. Prima ascoltiamolo, e poi faremo al riguardo qualche riflessione.

I due discepoli sulla via di Emmaus. “13In quello stesso giorno, due di loro se ne andavano verso un villaggio, di nome Emmaus, distante sessanta stadi da Gerusalemme. 14Ed essi parlavano tra loro di tutto quello che era accaduto. 15Or avvenne che, mentre parlavano e discorrevano insieme, Gesù stesso si accostò e si mise a camminare con loro. 16Ma i loro occhi erano impediti dal riconoscerlo. 17Egli disse loro: «Che discorsi sono questi che vi scambiate l’un l’altro, cammin facendo? E perché siete mesti?». 18E uno di loro, di nome Cleopa, rispondendo, gli disse: «Sei tu l’unico forestiero in Gerusalemme, che non conosca le cose che vi sono accadute in questi giorni?». 19Ed egli disse loro: «Quali?». Essi gli dissero: «Le cose di Gesù Nazareno, che era un profeta potente in opere e parole davanti a Dio e davanti a tutto il popolo. 20E come i capi dei sacerdoti e i nostri magistrati lo hanno consegnato per essere condannato a morte e l’hanno crocifisso. 21Or noi speravamo che fosse lui che avrebbe liberato Israele; invece, con tutto questo, siamo già al terzo giorno da quando sono avvenute queste cose. 22Ma anche alcune donne tra di noi ci hanno fatto stupire perché, essendo andate di buon mattino al sepolcro 23e non avendo trovato il suo corpo, sono tornate dicendo di aver avuto una visione di angeli, i quali dicono che egli vive. 24E alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato le cose come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto». 25Allora egli disse loro: «O insensati e tardi di cuore a credere a tutte le cose che i profeti hanno detto! 26Non doveva il Cristo soffrire tali cose, e così entrare nella sua gloria?». 27E cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture le cose che lo riguardavano. 28Come si avvicinavano al villaggio dove erano diretti, egli finse di andare oltre. 29Ma essi lo trattennero, dicendo: «Rimani con noi, perché si fa sera e il giorno è già declinato». Egli dunque entrò per rimanere con loro. 30E, come si trovava a tavola con loro, prese il pane, lo benedisse e, dopo averlo spezzato, lo distribuì loro. 31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero; ma egli scomparve dai loro occhi. 32Ed essi si dissero l’un l’altro: «Non ardeva il nostro cuore dentro di noi, mentre egli ci parlava per la via e ci apriva le Scritture?». 33In quello stesso momento si alzarono e ritornarono a Gerusalemme, dove trovarono gli undici e quelli che erano con loro riuniti insieme. 34Costoro dicevano: «Il Signore è veramente risorto ed è apparso a Simone». 35Essi allora raccontarono le cose avvenute loro per via, e come lo avevano riconosciuto allo spezzar del pane” (Luca 24:13-35).

Due discepoli di Gesù, tre giorni dopo la sua condanna a morte in croce ed esecuzione, ritornano a casa, abbattuti, tristi e delusi. “Noi speravamo che fosse lui che avrebbe liberato Israele” (21), dicono. Avevano le loro idee su quello che avrebbe dovuto essere per loro il Liberatore, il Messia, e forse avevano accolto in passato dalle parole di Gesù solo quello che meglio si confaceva con le loro idee, tralasciando il resto, sottovalutandolo, “spiegandolo” a modo loro… Uno di loro si chiamava Cleopa (18) e forse sarebbe stato un buon potenziale scrittore di un “Quinto Vangelo”, il “Vangelo secondo Cleopa”, uno dei tanti che di fatto sono stati scritti, diversi dai quattro canonici (Matteo, Marco, Luca, e Giovanni), fatti aggiungendo o togliendo cose diverse dalla verità rivelata, secondo idee personali, o ideologie. Anche oggi ce ne sono tanti presunti vangeli adattati alle ideologie correnti e fatti passare per buoni. Sono anche di successo – perché hanno sempre successo vangeli riveduti e corretti, “più convenienti”, popolari, meno controversi, meglio “adatti allo spirito della nostra epoca”, ma falsi, ingannevoli e, alla fin fine, deludenti.

Sulla via di Emmaus i due discepoli tristi e delusi, “parlavano e discorrevano insieme” (15), o meglio, discutevano animatamente fra di loro. Assomigliano alle discussioni accademiche che si fanno in certi circoli teologici o filosofici, o magari nelle scuole teologiche moderniste, dove i discepoli non sono lì, in fondo, per imparare dalle Sacre Scritture, ma per criticare, dibattere, confrontando e valutando, con criteri ad esse estranei. L’apostolo Paolo, mentre predicava l’Evangelo rivelato, ne aveva incontrati di questi critici di professione, tipicamente fra i filosofi di Atene che “non avevano passatempo migliore che quello di dire o ascoltare qualche novità” (Atti 17:21), tanto che ad un certo punto, in una sua lettera, egli scrive: “Infatti, che cosa hanno ora da dire i sapienti, gli studiosi, gli esperti in dibattiti culturali? Dio ha ridotto a pazzia la sapienza di questo mondo. Gli uomini, con tutto il loro sapere, non sono stati capaci di conoscere Dio e la sua sapienza. Perciò Dio ha deciso di salvare quelli che credono, mediante questo annunzio di salvezza che sembra una pazzia” (1 Corinzi 1:20-21 TILC).

Si tratta di una “pazzia” che Gesù stesso riprende in quegli stessi due discepoli che incontra sulla via per Emmaus, e che non teme di chiamare “insensati e tardi di cuore” (25). Erano infatti stati esposti per molto tempo, prima all’insegnamento delle Sacre Scritture ebraiche e poi quello teorico e pratico di Gesù stesso, ma che cosa avevano di fatto compreso? “I loro occhi erano impediti dal riconoscerlo” (16), dice il nostro testo a loro riguardo – impediti dal riconoscere il Cristo, il Messia, che non solo era li presente accanto a loro (e non lo riconoscevano) ma che poteva essere trovato in tutte le Scritture che già avevano esplicitato i termini del suo ministero. E’ così, infatti, che mentre camminano Gesù, con grande pazienza, fa loro una ripetizione delle lezioni che già erano state loro impartite: “E cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture le cose che lo riguardavano” (27). 

Eh si, ci sono sempre studenti testoni e “tardi” ai quali bisogna ripetere sempre le stesse cose finché non imparino. Gesù spiega loro “da tutte le Scritture” ciò che lo riguardavano …con buona pace anche di coloro che oggi sottovalutano e spesso accantonano l’Antico Testamento, come se fosse inferiore, come se non contenesse Cristo o non abbastanza, come se non fosse Parola di Dio altrettanto come il Nuovo Testamento, come se non contenesse quella Legge che continua ad essere regola di fede e di morale anche per noi cristiani… E’ un po’ come coloro che, rifiutandosi di cantare i Salmi biblici durante il culto (come dovrebbero) dicono che esse “non contengono Cristo” o l’Evangelo e quindi preferiscono i loro “inni” con testi “meglio adatti” e scritti da altri… E’ una delle diverse tipiche obiezioni al canto dei Salmi, ma anche di loro Gesù direbbe: “Insensati e tardi di cuore”. Non vedete come la Legge di Mosè, i Profeti e i Salmi sono pieni di Cristo? Già, non vedono. Hanno bisogno di pazienti “lezioni di sostegno” e ripetizioni da parte di chi queste cose le vede (ammesso che stiano ad ascoltarli, senza accantonarli con sdegno). Aspettano forse che Gesù compaia loro personalmente per convincerli che le cose non stanno come loro pensano e fanno? Un giorno in cielo egli lo farà, ma che vergogna per chi si ostinava a non vedere il Cristo nell’Antico Testamento! La spiegazione dell’Antico Testamento, quando è fatta bene e veracemente, ancora oggi non solo è disponibile, ma può suscitare la stessa buona reazione che i due discepoli sulla via di Emmaus avevano avuto esclamando: “Non ardeva il nostro cuore dentro di noi, mentre egli ci parlava per la via e ci apriva le Scritture?” (32).

Oltre che da un’efficace istruzione biblica, i due discepoli “riconoscono Cristo” quando? “Allo spezzare del pane” (35)! La celebrazione dell’ordinanza della Cena del Signore, accompagnata dalla fedele esposizione delle Scritture, è infatti il mezzo istituito dalla Parola di Dio stessa per tutti i cristiani, in cui Cristo si rende presente. Non stiamo qui ora a discutere in che modo il Cristo si renda oggi presente attraverso la celebrazione della Cena del Signore. Non è una presenza fisica (nessuna crassa idea di transustanziazione) e neanche una semplice presenza simbolica, ma Cristo è presente spiritualmente ma realmente nella celebrazione della Santa Cena, accompagnata dalla predicazione della Parola di Dio. Questo è stato e rimane fonte di grande consolazione per il popolo di Dio riunito. 

La Confessione di fede di Westminster, a questo riguardo afferma (la cito solo in parte): “Il Signore nostro Gesù Cristo, nella notte in cui fu tradito, istituì il Sacramento del Suo corpo e sangue, che chiamiamo Cena del Signore, affinché fosse celebrata nella Sua Chiesa fino alla fine del mondo, in memoria perpetua del sacrificio di Sé stesso nella Sua morte; per suggellarne tutti i benefici per tutti i veri fedeli; per essere il loro alimento spirituale e crescita in Lui; perché si impegnassero ulteriormente ad assolvere tutti i loro doveri verso di Lui; e per essere un vincolo e un pegno della loro comunione con Lui e fra di loro come membri del Suo corpo mistico” (29:1). “Gli elementi esteriori di questo Sacramento, messi debitamente a parte per gli usi ordinati da Cristo, hanno un tale legame con Lui crocifisso da essere veramente, ma solo sacramentalmente, chiamati con il nome delle cose che essi rappresentano, vale a dire il corpo ed il sangue di Cristo. Tuttavia, in sostanza ed in natura, essi rimangono veramente e solamente nulla di meno di quanto erano prima, vale a dire pane e vino” (29:5); “Coloro che ricevono degnamente questo sacramento, partecipando ai suoi elementi visibili, pure ricevono e si cibano di Cristo crocifisso e di tutti i benefici della Sua morte interiormente e per fede. Questo avviene realmente e veramente – non carnalmente e fisicamente, ma in modo spirituale. In questa ordinanza, il corpo ed il sangue di Cristo non si trova, infatti, in maniera corporea o fisica in, con o sotto il pane ed il vino, ma si rende presente alla fede dei credenti in maniera spirituale, non meno di quanto gli elementi stessi siano presenti ai loro sensi esterni” (29:7).

I due discepoli che stavano camminando sulla via che porta a Emmaus, nonostante si fossero rivelati “insensati e tardi di cuore” ricevono la grazia della rivelazione del Cristo risorto che insegna loro le Scritture e condivide con loro pane e vino. In quel modo noi oggi non dobbiamo aspettarcelo, ma la promessa della presenza reale di Gesù accanto a noi rimane quando riceviamo la predicazione o insegnamento fedele della Parola di Dio (Antico e Nuovo Testamento), come pure attraverso la celebrazione della Cena del Signore. Deve essere nostro impegno di parteciparvi dovunque e quandunque ne abbiamo l’opportunità, sicuri che il Cristo lo incontreremo e il nostro cuore “arderà” di gioia e riconoscenza, in attesa del suo ritorno. Toccherà poi anche a noi – sulla base della nostra esperienza – annunciare, condividere a tutti l’Evangelo, con la parola e i fatti. Sarà per noi cosa spontanea il farlo, “uscendo anche se è ormai notte”. Fare come quei discepoli che: “raccontarono le cose avvenute loro per via, e come lo avevano riconosciuto allo spezzar del pane” (35).

AFFLIZIONE E GLORIA

Da “Conforto per i cristiani”, di Arthur W. Pink, 1952

“Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria” (2 Corinzi 4:17).

Queste parole ci forniscono un motivo per cui non dovremmo scoraggiarci e cadere nella disperazione durante le prove, né essere sopraffatti dalle disgrazie. Le prove nel tempo ci insegnano a guardare alla luce dell’eternità. Affermano che le attuali afflizioni del cristiano esercitano un effetto benefico sul nostro “uomo interiore”. Se queste verità fossero fermamente prese in carico dalla fede, esse mitigherebbero gran parte dell’amarezza dei nostri dolori.

“Il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria”. Questo versetto presenta un’antitesi sorprendente e gloriosa, in quanto mette a confronto il nostro futuro stato di gloria con il nostro presente di afflizione. Qui c’è “tribolazione”, là c’è “gloria”. Qui c’è un “leggero peso”, là  “una quantità smisurata ed eterna”. Nella nostra afflizione c’è sia leggerezza che brevità: è un’afflizione leggera, ed è solo per un momento. Nella nostra gloria futura c’è solidità ed eternità! Per scoprire la preziosità di questo contrasto, consideriamo, separatamente, ciascun suo elemento, ma nell’ordine inverso in cui sono menzionati.

 1. “Una quantità smisurata ed eterna di gloria”. 

È significativo che la parola ebraica per “gloria” significhi anche “peso”. Quando si aggiunge peso al valore dell’oro o delle pietre preziose, questo aumenta il loro valore. La felicità del cielo non può essere descritta con le parole della terra; le espressioni figurative sono meglio calcolate per trasmetterci alcune idee imperfette. Qui nel nostro testo un termine è impilato sull”altro. Ciò che attende il credente è “gloria” e quando diciamo che una cosa è gloriosa abbiamo raggiunto i limiti del linguaggio umano per esprimere ciò che è eccellente e perfetto. Ma la “gloria” che ci aspetta è ponderata, sì, è “smisuratamente” più pesante di qualsiasi cosa terrestre e temporale; il suo valore sfida ogni possibiltà di calcolo; la sua trascendente eccellenza va oltre la descrizione verbale. Inoltre, questa meravigliosa gloria che ci attende non è evanescente e temporale, ma divina ed eterna; “eterna” non lo potrebbe essere se non fosse divina. Il grande e benedetto Dio ci darà ciò che è degno di se stesso, sì, ciò che è simile a se stesso, infinito ed eterno.

 2. “Il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione” 

(1) “Tribolazione” è il retaggio comune dell’esistenza umana. “Ma è l’uomo che genera pene, come le scintille volano in alto” (Giobbe 5:7). Questo fa parte del risultato del peccato. Non è giusto che una creatura caduta sia perfettamente felice nei suoi peccati. Né i figli di Dio sono esentati; “dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni” (Atti 14:22). Su una strada dura e accidentata, Dio ci conduce alla gloria e all’immortalità.

(2) La nostra afflizione è “leggera”. Le afflizioni non sono leggere in se stesse, perché spesso sono pesanti e gravi; ma sono relativamente leggere! Sono leggere se messe a confronto con ciò che meriteremmo davvero. Sono leggere se confrontate con le sofferenze del Signore Gesù. Ma forse la loro vera “leggerezza” si vede meglio confrontandole con il peso della gloria che ci sta aspettando. Come ha detto lo stesso apostolo in un altro posto, “Ritengo infatti che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi” (Romani 8:18).

(3) Sono “momentanee”. Se le nostre afflizioni dovessero continuare per tutta la vita e quella vita fosse uguale per durata a quella di Matusalemme, esse sarebbero comunque momentanee se messe a confronto con l’eternità che ci sta davanti. Al massimo la nostra afflizione non è che per questa vita presente, che è come un vapore che appare per un po ‘e poi svanisce. Oh, se Dio ci permettesse di esaminare le nostre prove nella loro vera prospettiva.

 3. La connessione tra i due 

La nostra leggera afflizione, che è solo per un momento, “ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria”. Il presente sta influenzando il futuro. Non spetta a noi ragionare e filosofare su questo, ma prendere Dio in Parola e crederci. L’esperienza, i sentimenti, l’osservazione degli altri possono sembrare negare questo fatto. Spesso le afflizioni sembrano solo inasprirci e renderci più ribelli e scontenti. Ma si ricordi che le afflizioni non vengono inviate da Dio allo scopo di purificare la carne: sono progettate per il beneficio del “nuovo uomo”. Inoltre, le afflizioni aiutano a prepararci per la gloria che verrà. L’afflizione allontana il nostro cuore dall’amore per il mondo; ci rende più pazienti per il tempo in cui saremo tradotti da questa scena di peccato e dolore; ci consentirà di apprezzare (per contrasto) le cose che Dio aveva preparato per coloro che Lo amano.

Ecco allora ciò che la fede è invitata a fare: porre su un piatto della bilancia l’attuale afflizione, nell’altro la gloria eterna. Sono degni di essere paragonati? No, davvero. Un secondo di gloria sarà più che controbilanciato per tutta la vita della sofferenza! Quali sono gli anni di fatica, di malattia, di lotta contro la povertà, di persecuzione, sì, la morte di un martire, quando vengono soppesati dai piaceri della destra di Dio, che sono per sempre! Un respiro del Paradiso estinguerà tutti i venti avversi della terra! Un giorno nella Casa del Padre sarà più che controbilanciato gli anni che abbiamo trascorso in questo triste deserto. Possa Dio accordarci quella fede che ci permetterà di impadronirci anticipatamente del futuro e vivere nel godimento attuale di esso.

Perché il culto pubblico sospeso? Ne parla la Bibbia!

Della sospensione del culto pubblico se ne parla anche nella Bibbia. La considera un’espressione del giudizio di Dio per l’infedeltà del Suo popolo. Dio tramite il profeta Osea supplica Israele di abbandonare la sua prostituzione spirituale, sotto la solenne minaccia di rimuovere il suo culto pubblico: “Farò cessare tutte le sue feste; quelle annuali e quelle mensili, le celebrazioni del sabato e tutte le sue solenni riunioni religiose” (Osea 2:13). Israele non aveva però ascoltato questo motivo, né sua nazione sorella Giuda, quindi Dio aveva realizzato la sua minaccia. Geremia si lamenta sotto la prigionia babilonese, “Ha ridotto il suo tempio a un giardino

devastato, ha demolito il luogo dove incontrava il suo popolo. Il Signore ha fatto dimenticare in Sion le feste e il sabato. Nell’indignazione della sua collera ha ripudiato re e sacerdoti” (Lamentazioni 2:6). Sebbene da noi i nostri edifici ecclesiastici non siano ancora stati distrutti, non dovremmo affermare con orgoglio che la rimozione temporanea del nostro culto pubblico non sia un giudizio di Dio. Almeno è chiaro, Dio ha promesso che i peccati del suo popolo avrebbero avuto il risultato di chiudere le loro chiese, lo ha sicuramente fatto in passato e lo farà sicuramente in futuro. “Come siete cambiati! Ricordate come eravate da principio, tornate a essere come prima! Altrimenti, io verrò e leverò dal suo posto il vostro candelabro” (Apocalisse 2:5).

Dio dà nella Scrittura molte ragioni per i suoi giudizi sulla chiesa. Una comune è la superstizione, cioè praticare espressioni di culto inventate dall’uomo e non prescritte da Dio stesso. Dio vieta ogni espressione superstiziosa di culto nel secondo comandamento: “Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra, né di quanto è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso”(Esodo 20: 4–5). Ripete questo rifiuto dell’adorazione inventata nelle parole di Cristo contro i Farisei: “Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uominii” (Matteo 15: 9). Poi di nuovo nell’insegnamento di Paolo contro “prescrizioni e insegnamenti di uomini” (Colossesi 2: 21–22). Paolo ammette che “hanno una parvenza di sapienza con la loro falsa religiosità e umiltà e mortificazione del corpo, ma in realtà non hanno alcun valore se non quello di soddisfare la carne” (2:23), vale a dire, hanno origine dalla volontà dell’uomo e non dalla volontà di Dio. Nota anche come il secondo comandamento si concluda con una seria minaccia: “Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano” (Esodo 20: 5). La storia dimostra che questa minaccia non è inattiva. Israele per mano di Aaronne si era fatto vitello fuso e aveva proclamato una festa all’Eterno, celebrata con atti di adorazione e di baldoria (Esodo 32: 3–6). Dio per questo giorno santo non autorizzato aveva minacciato di distruggerli tutti (v. 10), quindi ha ordinato l’esecuzione di circa tremila (v. 28) e una piaga per il resto (v. 35). Non molto tempo dopo, i figli di Aaronne, Nadab e Abihu, furono consumati perché “presentarono davanti al Signore un fuoco illegittimo, che il Signore non aveva loro ordinato” (Levitico 10:12). Il re Uzzia per la sua presunzione di bruciare incenso, sebbene non fosse sacerdote, fu colpito dalla lebbra per tutta la vita (2 Cronache 26: 16–21). E terribilmente, quando il popolo di Dio bruciò i loro figli e le loro figlie nel fuoco, la sua parola di condanna non era che avevano commesso un omicidio, ma piuttosto una superstizione: “…cosa che io non avevo mai comandato e che non avevo mai pensato” (Geremia 7:31). Per questa superstizione il luogo del loro sacrificio inventato sarebbe diventato la valle del loro stesso massacro (v. 32).

Dobbiamo rendere culto a Dio soltanto come egli espressamente prescrive nella sua parola secondo l’esempio delle comunità cristiane descritte nel Nuovo Testamento. Tutto il resto è superstizione che Egli odia. Anche nelle chiese spesso si esprime spesso il culto in forme e contenuti non espressamente prescritti. Giustificarci in varie maniere non vale. Dobbiamo fare solo ciò che è prescritto.

Se I giudizi di Dio nell’Antico Testamento possono sembrarci “duri e spietati” è per ammonirci a prendere le questioni che riguardano il culto molto seriamente.

Non possiamo parlare infallibilmente delle nostre circostanze attuali. Solo Dio conosce tutti i motivi della sua provvidenza. Ma possiamo vedere da questi comandi ed esempi che un’adorazione falsa e superstiziosa merita un giudizio come quello in cui ci troviamo; anzi, uno molto peggio. Pertanto, nella misura in cui oggi la chiesa nutre superstizioni simili a quelle che talvolta avvenivano anche nella chiesa antica, dobbiamo ricordare l’avvertimento di Cristo: “Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo” (Luca 13:5).

L’essenziale

Se tu fossi in punto di morte e cosciente: la tua fede ti porterebbe alla salvezza dell’anima? Non si tratta di una questione accademica o “inopportuna”, anzi! Gli antichi scrittori cristiani erano molto più saggi, responsabili e previdenti di noi al riguardo. “E udii una voce dal cielo che diceva: «Scrivi: d’ora in poi, beati i morti che muoiono nel Signore. Sì – dice lo Spirito -, essi riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono»” (Apocalisse 14:13).

Ci sono momenti in cui solo l’essenziale conta. Cessano le chiacchiere vane e tante discussioni su questioni che improvvisamente non sono più così rilevanti, anzi, che sarebbero fuori luogo. Uno di questi momenti è la malattia e la morte, quella dei nostri familiari ed amici, ma anche la nostra. Potremmo infatti avvicinarci alla nostra morte, soprattutto quando la nostra malattia non è curabile e ne siamo coscienti. 

Le passate generazioni di cristiani vivevano a contatto costante con la malattia – e la morte non era, come lo è spesso oggi, cosa della quale “non bisogna parlarne” o peggio limitarsi a ventilare vane e ipocrite illusioni. Gli autori cristiani del passato sapevano che, in quelle circostanze, accertarsi di essere noi stessi veramente a posto con Dio secondo i canoni biblici, o accompagnare altri a farlo, è di importanza capitale. Essi sapevano che quando stai per morire o vicino a te c’è una persona che sta per morire, il silenzio, le chiacchiere, le tattiche evasive, come pure dare vane illusioni che si presumono consolatorie, sono cose da irresponsabili (se si è cristiani). Già, con i malfattori che stanno per morire sulla croce accanto a Gesù non parli del tempo che fa e non fai discussioni filosofiche e teologiche: “vai sul sodo”, annunci loro l’Evangelo affinché la loro anima sia salva attraverso il ravvedimento e la fede in Cristo.

Lewis Bayley (1565-1631), uno dei miei autori puritani favoriti di solida fede biblica e riformata, e della cui opera “La pratica della pietà” ne sto proponendo da qualche tempo ampi stralci, dedica alla preparazione alla morte (dei propri familiari ed amici) e propria, diversi capitoli che anche noi faremmo bene ad esaminare (e praticare) con attenzione.

Vi propongo qui uno stralcio tratto dal capitolo “Ammonizione a coloro che vanno a visitare un infermo” che commenterò brevemente, non per criticare, ma per evidenziarne la sapienza – quella che ci dovrebbe fare da maestra. Basta criticare: è ora di imparare!

In primo luogo dice:

Coloro che vengono a visitare un infermo devono avere speciale cura di non starsene muti a fissarlo in volto e così imbarazzarlo e turbarlo, né devono chiacchierare oziosamente o porgli delle domande inopportune, come tanti fanno. Se dunque essi vedono che la persona sia in punto di morte, non devono cercare di far finta di nulla o dare vane speranze, ma dovranno con amore e discrezione ammonire la persona nella sua debolezza e prepararla per la vita eterna. Anche solo un’ora ben spesa, quando la vita di una creatura umana giunge al termine, può guadagnarle la certezza della vita eterna. La si consoli non con la vana speranza di questa vita, per non tradire la sua anima a morte eterna. Le si parli francamente del suo stato e le si facciano le seguenti o simili domande.
Quindi, nessuna tattica elusiva o vanamente consolatoria, ma, certo con tatto ed amore, valutando bene la disposizione della persona, siamo chiamati, come cristiani, a “prepararla per la vita eterna” in modo franco ed aperto. Benché questo sia soprattutto il compito del ministro di Dio e degli anziani della comunità cristiana locale, di essi il Bayly non fa cenno, ma parla dei visitatori di un infermo, che evidentemente, per gli argomenti toccati, devono essere credenti sensibili e maturi.

Il Bayly passa così a trattare questo argomento: “Domande da porre ad una persona malata in punto di morte”. Esse trattano dell’essenza della fede cristiana. Non si tratta certo di domande da fare tutte insieme, ma sono una guida con la quale orientarsi tenendo conto di chi abbiamo davanti e delle circostanze in cui ci troviamo. In ogni caso queste domande sono così basilari che potrebbe e dovrebbe pure farsele chi è giovane, sano e pieno di vita… Eccole.

Credi tu che l’Onnipotente Dio, Trinità di Persone in un’unica essenza, con la sua potenza ha creato i cieli e la terra, e tutte le cose ivi contenute? E che egli ancora con la sua provvidenza le governa, tanto che nulla accade in questo mondo, e alla tua persona, se non ciò che la sua divina mano e consiglio abbiano predeterminato debbano accadere? Confessi d’aver trasgredito e infranto i santi comandamenti dell’Onnipotente Iddio in pensieri, parole ed opere? Come pure che, per aver infranto le sue sante leggi, hai ben meritato la maledizione di Dio, che implica tutte le miserie di questa vita ed i tormenti eterni dell’inferno quando questa vita sia terminata, e che Dio giustamente dovrebbe trattarti secondo quanto meriti?

La fede cristiana autentica presuppone Dio, così come egli si rivela nelle Sacre Scritture. Fede o non fede, l’anima di ogni creatura umana, abbandonando con la morte la dimensione terrena, si presenta a Dio davanti al quale dovrà rendere conto di sé stessa. “Tutti … sono destinati a morire una volta sola, e poi sono giudicati da Dio” (Ebrei 9:27). Dobbiamo riconoscere che Dio è il Creatore e sostenitore di ogni cosa, e che Egli è sovrano su ogni cosa ed ha stabilito pure il momento della nostra morte. Dobbiamo riconoscere che malattia, morte e giusta condanna sono il risultato della nostra non-conformità alle sue leggi. A lui dobbiamo accostarci con fede. “Nessuno può essere gradito a Dio se non ha la fede. Infatti chi si avvicina a Dio deve credere che Dio esiste e ricompensa quelli che lo cercano” (Ebrei 6:11).

Non sei dispiaciuto nel tuo cuore di avere infranto le sue leggi, negletto il suo servizio e culto, e così tanto seguito le vie del mondo e quelle dei tuoi piaceri vani? Non vorresti piuttosto condurre una vita più santa, se tu potessi ricominciarla da capo?

Alla consapevolezza del peccato deve accompagnarsi il genuino dispiacimento per aver infranto l’equilibrio della sua legge e quindi la nostra disposizione al ravvedimento. Il peccato è cosa molto seria e non possiamo permetterci di essere disinvolti al riguardo.

Non desideri dal profondo del tuo cuore essere riconciliato con Dio in Gesù Cristo, suo Figlio benedetto, il tuo Mediatore? Egli ora si trova accanto a Dio e sostiene la tua causa (Romani 8:34; Ebrei 9:24).

Al ravvedimento si deve accompagnare il nostro sincero desiderio di riconciliazione con Dio (vale anche quello in extremis) e l’accoglienza senza riserve del solo mezzo che Dio ha stabilito per poterci riconciliare con Dio: il Signore e Salvatore Gesù Cristo.

Rinunci tu ad ogni vana fiducia in altri mediatori o intercessori, santi o angeli che siano (Ebrei 9:11), e credi tu che Cristo Gesù, il solo Mediatore del Nuovo Testamento, sia in grado di salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio (1 Timoteo 2:5; Ebrei 7:25)? E sei tu disposto con l’antico Davide a dire a Cristo: “Chi ho in cielo all’infuori di te? Con te, null’altro desidero sulla terra!” (Salmo 73:25)?

Questo ci deve portare all’espressa rinuncia di ogni altro mediatore fra noi e Dio – solo quegli che Egli ha stabilito. Basta con le ciance, le scuse, i sofismi. La Sua Parola al riguardo è di estrema chiarezza.

Credi e speri fiduciosamente di essere salvato per i soli meriti della morte sacrificale e passione che il tuo Salvatore Gesù Cristo ha sofferto per te? Rinunci a riporre ogni vana speranza di salvezza nei tuoi propri meriti, come pure in qualsiasi altro mezzo o creatura, essendo certo e persuaso che in nessun altro se non Gesù Cristo c’è salvezza? Non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati. A lui tutti i profeti danno questa testimonianza: chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome (Atti 12:12; 10:43).

Davanti a Dio ci possono salvare solo i meriti guadagnati dal Cristo e che Egli nella sua misericordia ci offre. La rinuncia a qualsiasi altro presunto merito è quindi essenziale.

Perdoni tu di tutto cuore ogni torto ed offesa che ti sia stata fatta da qualsivoglia persona? E sei tu disposto volentieri e di cuore a chiedere perdono a chiunque tu abbia fatto un qualche grave torto in parole od opere? Sei tu disposto a cacciare dal tuo cuore ogni odio e malizia che tu avessi intrattenuto verso chiunque affinché tu possa apparire di fronte al volto di Cristo, il principe della pace, in perfetto amore e carità? Dice infatti la Scrittura: “Cercate la pace con tutti e la santificazione, senza la quale nessuno vedrà mai il Signore” (Isaia 9:6; Ebrei 12:14).

Non solo la riconciliazione con Dio è essenziale, prima di morire, ma anche la riconciliazione con chiunque altro noi si abbia fatto un qualche torto attraverso la richiesta sincera di perdono, diretta o indiretta che possa essere.

Senti nella tua coscienza il peso della colpa per averti indebitamente appropriato o sottratto qualcosa da vedove o orfani, o da qualsiasi altra persona? Sii certo che fintanto che non restituirai, come Zaccheo, nella misura del possibile ciò che hai sottratto ad altri, non te ne sarai veramente pentito, e che senza un vero pentimento tu noi puoi essere salvato, né guardare in faccia Cristo quando apparirai di fronte al suo tribunale.

Con il perdono biblicamente va anche la restituzione del maltolto nella misura del possibile, le disposizioni al riguardo e, in ogni caso, l’espressa volontà di farlo!

Credi tu fermamente che il tuo corpo sarà fatto risorgere dalla tomba, al suono dell’ultima tromba? E che il tuo corpo e la tua anima di nuovo congiunti insieme nel giorno della risurrezione per apparire di fronte al Signore Gesù Cristo? e così vivere per sempre in beatitudine e gloria?

Accogliere, infine, senza riserve, la concezione biblica del mondo e della vita, quella che ci è stata trasmessa da così tante generazioni del popolo di Dio, e soprattutto la fede ferma nella risurrezione di Cristo, è essenziale. “Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti” (1 Corinzi 15:20). Moralmente e spiritualmente essere cristiani vuol dire unirsi alla Sua morte e risurrezione, ma questa realtà copre anche il destino del nostro corpo e della nostra anima. Che magnifica certezza!

Il testo di L. Bayly termina (in questa sezione) con queste parole: “Se la persona ammalata risponderà a tutte queste domande come un cristiano fedele, che allora tutti i presenti si uniscano pregando per lui con le seguenti o simili parole”. A questo segue un suggerimento di preghiera, da fare nostro con riconoscenza.

Tutto questo è “l’essenziale” della fede cristiana per chi è sul letto di morte. C’è chi in quel momento purtroppo sarà solo. Ragione di più per verificare tutto questo mentre lo possiamo fare e “portarcelo con sé”. “E udii una voce dal cielo che diceva: «Scrivi: d’ora in poi, beati i morti che muoiono nel Signore. Sì – dice lo Spirito -, essi riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono»” (Apocalisse 14:13).

Vedi qui i capitoli originali del Bayly su questo argomento:

  1. CAP. XLVII. Meditazioni di un ammalato che è vicino alla morte.
  2. Preghiera d’un ammalato che è vicino al suo fine, e si prepara alla morte
  3. CAP. XLVIII. Meditazioni contro la disperazione e li dubbi della misericordia di Dio.
  4. CAP. XLIX. Avvertimento a coloro che visitano gli ammalati e Domande che si debbono fare ad una persona che è vicina al suo fine
  5. Preghiera di coloro che hanno visitato un ammalato
  6. CAP. L. Consolazione contro l’impazienza degli infermi
  7. Consolazioni contro il timore della morte
  8. Sette pensieri santi e sette sospiri ardenti d’un uomo vicino alla morte
  9. CAP. LI. La persona inferma trovandosi in tale stato dee mandar a chiamare qualche buono e fedele pastore
  10. Preghiera d’uno che rende lo spirito
  11. CAP. LII. La pratica di pietà di quelli che muoiono per il Signore


Signore, perché?

Colloquio spirituale fra l’anima e il suo Salvatore, circa gli efficaci meriti della sua dolorosa passione, di L. Bayly (1565-1631)

Anima: Signore, perché hai lavato i piedi dei tuoi discepoli?

Cristo: Per insegnarti come tu debba preparare te stessa prima di accostarti alla mia Santa Cena.

Anima: Signore, perché hai voluto lavarli tu stesso? (Giovanni 13:4).

Cristo: Per insegnarti la via dell’umiltà, se vuoi essere mio discepolo.

Anima: Signore, perché hai istituito la tua Santa Cena prima della tua morte? (Luca 22:19,20).

Cristo: Affinché tu potessi nel modo migliore rammentarti della mia morte, ed avere la certezza che tutti I meriti di quella sono tuoi.

Anima Perché sei voluto andare in un luogo dove tu sapevi che Giuda ti avrebbe trovato? (Giovanni 18:2).

Cristo: Affinché tu potessi renderti conto che io sono andato volontariamente a soffrire per i tuoi peccati, come tu andasti a commetterli.

Anima: Perché tu hai voluto cominciare la tua Passione in un giardino? (Giovanni 18:1).

Cristo: Perché è proprio in un giardino che il tuo peccato ebbe principio (Genesi 3:2).

Anima: Perché si erano addormentati i tre discepoli che tu avevi preso con te quando avevi cominciato la tua agonia? (Matteo 26:40).

Cristo: Per mostrarti che io solo ho compiuto l’opera della tua Redenzione (Isaia 43:5).

Anima: Perché contro di te ci sono stati così tanti complotti e ti sono state tese così tante insidie (Matteo 26:4).

Cristo: Affinché tu potessi essere liberata dal laccio dei cacciatori spirituali che vorrebbero la tua rovina (Salmo 124:7).

Anima: Perché ti lasciasti baciare da Giuda che ti tradiva? (Matteo 26:49).

Cristo: Affinché sopportando le parole di un dissimulatore io potessi lì iniziare ad espiare il peccato, là dove Satana lo ha portato per la prima volta nel mondo (Genesi 3:4,5).

Anima: Signore, perché hai voluto essere venduto per trenta pezzi d’argento? (Matteo 27:3).

Cristo: Affinché io potessi liberarti dall’eterna tua servitù.

Anima: Signore, perché hai offerto preghiere e suppliche, con tali forti grida e lacrime (Matteo 26:39; Ebrei 5:7).

Cristo: Perché io potessi spegnere la furia delle fiamme della giustizia di Dio che era tanto accesa contro di te.

Anima: Perché tu sentivi così tanta paura ed angoscia (Marco 14:33)?

Cristo: Affinché sostenendo l’ira di Dio, che era dovuta ai tuoi peccati, tu potessi trovare sicurezza e maggior consolazione nelle tue afflizioni e nella tua morte.

Anima: Signore, perché pregavi così spesso e con tanto ardore perché passasse via da te quel calice di dolore (Matteo 26:39,42,44)?

Cristo: Per farti conoscere l’orrore della maledizione divina che, essendo dovuta ai tuoi peccati, io la bevessi e sopportassi per te (Galati 3:13).

Anima: Perché desiderasti che la volontà di tuo Padre fosse fatta dopo aver pregati che quel calice passasse via da te (Luca 22:42)?

Cristo: Per insegnarti cosa devi fare in tutte le tue afflizioni; e quanto tu debba volontariamente debba risolverti a sopportare con pazienza l’afflizione che vedi provenire dalla mano giusta del tuo Padre celeste.

Anima: Signore, perché sudasti gocce di sangue (Luca 22:44)?

Cristo: Per poterti purificare dalle tue macchie e piaghe sanguinose del peccato.

Anima: Signore, perché ti sei lasciato prendere quando tu avresti potuto fuggire dalle mani dei tuoi nemici (Luca 22:54)?

Cristo: Affinché il tuo nemico spirituale non ti pigliasse, non ti cacciasse in prigione, e non ti gettasse nelle tenebre di fuori (Matteo 5:25; 22:13).

Anima: Signore, perché sei stato abbandonato da tutti I tuoi discepoli (Matteo 25:56).

Cristo: Per riconciliarti a Dio, dal quale tu eri abbandonato per causa dei tuoi peccati. 

Anima: Signore, perché hai voluto essere arrestato soltanto te (Giovanni 28:8).

Cristo: Per dimostrarti che l’ardente desiderio che io avevo di salvarti mi era molto più caro dell’amore di tutti I miei discepoli.

Anima: Perché mentre tu eri condotto al sommo sacerdote, lasciasti tu afferrare dai soldati un giovane, quello che incuriosito dal rumore che avevano fatto, si era alzato e che poi, lasciando cadere il lenzuolo dal quale era avvolto, era fuggito via (Marco 14:51,52)?

Cristo: Per farti vedere il furore con il quale i soldati volevano prendermi, e la mia potenza nel difendere dalle loro spietate mani tutti i miei discepoli, i quali sarebbero stati trattati ben peggio di quel giovane.

Anima: Signore, perché sei stato messo in catene e così condotto via (Matteo 27:2).

Cristo: Affinché tu potessi essere sciolto dalle tue iniquità.

Anima: Signore, perché sei stato rinnegato da Pietro (Luca 22:57,58,60)?

Cristo: Affinché io ti potessi confessare davanti al Padre mio, ed affinché tu imparassi a non confidarti nell’uomo e che la salvezza dipende dalla mia misericordia soltanto. 

Anima: Signore, perché hai voluto portare Pietro al ravvedimento attraverso il canto di un gallo (Matteo 25:74-75)?

Cristo: Affinché nessuno disprezzasse I mezzi che Dio ha stabilito per la loro conversione, benché sembrino vili e disprezzabili.

Anima: Signore, perché al canto di quel gallo ti sei voltato ed hai fissato lo sguardo su Pietro (Luca 22:61)?

Cristo: Affinché tu sapessi che senza il mio aiuto non c’è mezzo alcuno di convertire un peccatore a Dio una volta che sia scaduto dalla tua grazia.

Anima: Signore, perché sei stato tu coperto da un mantello di porpora (Giovanni 19:5)?

Cristo: Affinché potessi comprendere che se quand’anche i tuoi peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana” (Isaia 1:18).

An: Signore, perché sei stato incoronato di spine (Matteo 27:29)?

Cristo: Affinché portando spine, il primo frutto della maledizione del peccato, potesse apparire che sono io che porto via I peccati e la maledizione del mondo, ed affinché io potessi incoronare te con la corona della vita e della gloria (1 Pietro 5:4; Apocalisse 2:10).

Anima: Signore, perchè ti avevano messo una canna nella mano destra (Matteo 27:29)?

Cristo: Perché possa essere evidente che io non sono venuto a spezzerare una canna già incrinata (Matteo 12:20).

Anima: Signore, perché i soldati del governatore ti hanno deriso inginocchiandosi davanti a te e dicendo “Salve, re dei Giudei” (Matteo 27:29)?

Cristo: Affinché tu potessi insultare i demoni, che altrimenti si sarebbero burlati di te, come avevano fatto i Filistei con Sansone (Giudici 16:25).

Anima: Perché hai permesso che il tuo volto benedetto fosse contaminato da sputi (Matteo 27:30)?

Cristo: Perché il tuo viso fosse nettato dalla vergogna del peccato.

Anima: Perché ti hanno bendato il volto (Marco 14:65)?

Cristo: Affinché fosse rimossa la tua cecità spirituale e tu potessi contemplare il volto del Padre mio che sta in cielo.

Anima: Perché ti hanno percosso e schiaffeggiato, e ti hanno percosso con la canna sul capo (Matteo 26:67; 27:30)?

Cristo: Affinché tu potesti essere liberato dai colpi e dalle percosse delle furie dell’inferno.

Anima: Perché quelli che passavano ti insultavano scuotendo il capo (Matteo 27:39)?

Cristo: Affinché Dio potesse parlare con te di pace con la Sua Parola e con il Suo Spirito.

Anima: Perché il tuo volto è stato sfigurato con colpi e le tue guance lacerate da chi voleva strapparti la barba (Giovanni 19:3; Isaia 50:6).

Cristo: Affinché il tuo volto risplendesse glorioso come quello degli angeli in cielo (Matteo 13:43).

Anima: Perché sei stato così crudelmente flagellato (Giovanni 19:1).

Cristo: Affinché tu potessi essere liberato dal pungiglione della coscienza e dalle fruste dei tormenti eterni.

Anima: Perché subito, al mattino, i capi dei sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, ti hanno messo in catene, ti hanno portato via consegnato al tribunale di Pilato (Marco 15:1)?

Cristo: Affinché tu potessi essere assolto nel giorno del giudizio di fronte al mio tribunale.

Anima: Signore, perché sei stato così falsamente accusato (Luca 23:2)?

Cristo: Affinché tu non fossi giustamente condannato.

Anima: Perché sei stato consegnato al governatore Pilato, un giudice straniero (Matteo 27:2)?

Cristo: Affinché tu fossi redento dalla servitù ad un tiranno infernale e perché fossi resituito a Dio, a cui appartieni per diritto.

Anima: Perché, oh Cristo, hai riconosciuto che Pilato aveva ricevuto potere su di te perché gli era stato dato dall’alto (Giovanni 19:11)?

Cristo: Affinché l’Anticristo, che pretende d’essere il mio vicario, non si esaltasse al di sopra dei principati e delle potenze (Tito 3:1; Romani 13:1; 1 Pietro 2:13,14).

Anima: Signore, perché hai patito sotto Ponzio Pilato, che presiedeva come delegato del Cesare di Roma (Luca 23:1,2; Giovanni 19:13 e ss.).

Cristo: Per mostrare come i Cesari ed I Pontefici di Roma sono fra I principali persecutori della mia chiesa e hanno crocifisso me e le membra del mio corpo (Notasi bene Apocalisse 11:8; 17:5-6; Romani 8:3).

Anima: Ma per qual motivo, oh Signore, sei stato condannato? (Luca 23:24; Romani 8:3).

Cristo: Affinché la Legge, condannando me, non condannasse te.

Anima: Ma perché sei stato condannato te, contro il quale non si poteva provare nulla (Matteo 27:24; Giovanni 19:6)?

Cristo: Affinché fosse chiaro che io ero stato condannato ed avessi sofferto non per le mie colpe, ma per le tue.

Anima: Signore, perché sei stato condotto a soffrire fuori dalle porte della città (Matteo 27:33; Ebrei 13:2)?

Cristo: Affinché io potessi portare te a riposare nella città celeste.

Anima: Perché, mentre ti conducevano via, hanno fermato un certo Simone di Cirene, che tornava dai campi, e gli hanno messo addosso da portare la tua croce (Luca 23:26; Matteo 27:32)?

Cristo:  Per mostrare la debolezza alla quale mi ha portato l’onere dei tuoi peccati, e pure per mostrare come sia necessario uscire dai campi di questo mondo per incamminarsi verso la Gerusalemme celeste.

Anima: Signore, perché sei stato spogliato dalle tue vesti (Giovanni 19:23)?

Cristo: Affinché tu potessi vedere come io ho rinunciato a tutto per riscattarti.

Anima: Signore, perché sei stato innalzato su quella croce (Giovanni 12:32)?

Cristo: Per innalzarti con me in paradiso.

Anima: Signore, perché sei stato appeso ad un albero rendendoti così maledetto davanti a Dio (Deuteronomio 21:22-23; Galati 3:13)?

Cristo: Affinché ti potesse essere tolta la maledizione di aver mangiato il frutto di un albero proibito (Genesi 2:17).

Anima: Signore, perché sei stato crocifisso fra due malfattori (Luca 23:33)?

Cristo: Affinché tu potessi prendere posto fra gli angeli del cielo.

Anima: Signore, perché le tue mani e I tuoi piedi sono stati inchiodati sulla croce (Salmo 22:17; Giovanni 20:2 5)?

Cristo: Affinché le tue mani fossero libere di compiere opere di giustizia e I tuoi piedi camminassero nelle vie della pace.

Anima: Signore, perché ti hanno crocefisso al luogo detto Gòlgota, che significa “luogo del cranio” (Matteo 27:33), dove venivano gettati I morti più vili?

Cristo: Per assicurarti che la mia morte è vita per I morti.

Anima: Signore, perché I soldati non hanno potuto dividersi la tua tunica, senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo?

Cristo: Per mostrare che la mia Chiesa è una sola senza divisioni o scismi.

Anima: Signore, perché hai assaggiato vino mescolato con fiele (Matteo 27:34)?

Cristo: Affinché tu potessi mangiare il pane degli angeli e bere l’acqua della vita.

Anima: Signore, perché sulla croce tu hai detto: “E’ compiuto?” (Giovanni 19:30)?

Cristo: Affinché tu sapessi che con la mia morte la Legge è stata adempiuta ed realizzata la tua redenzione (Romani 10:4).

Anima: Signore, perché alla croce hai gridato: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Marco 15:34).

Cristo: Affinché tu, essendo abbandonato da Dio a causa dei tuoi peccati, non dovessi gridare per sempre fra i dolori dell’inferno: “Ohimé lasso!”.

Anima: Signore, perché nel momento della tua morte si fece buio su tutta la terra (Matteo 27:45)?

Cristo: Affinché tu potessi avere un’immagine dei dolori infernali che io ho patito per liberarti dagli abissi tenebrosi dell’inferno (2 Pietro 2:4; Giuda 5,6).

Anima: Signore, perchè le tue braccia sono state inchiodate allargate?

Cristo: Affinché io potessi abbracciarti amorevolmente con le braccia eterne della misericordia (Deuteronomio 33:27; Marco 10:16; Colossesi 2:14).

Anima: Perché uno di quei malfattori, che prima mai avevano operato il bene, ha ottenuto di essere condotto in paradiso con un pentimento così breve (Luca 23:42-43).

Cristo: Affinché tu potessi vedere la potenza della mia morte di perdonare coloro che si ravvedono dai loro peccati e che nessun peccatore debba disperare.

Anima: Signore, perché l’altro malfattore, pure crocifisso vicino a te, non ha ottenuto la stessa misericordia? (Luca 23:39)?

Cristo: Perché spetta a me decidere di chi avere misericorsia e chi lasciare nella sua ostinata durezza di cuore. Tutti devono temere e nessuno presumere (Romani 9:18).

Anima: Signore, perché sulla croce hai gridato a gran voce prima di rendere lo spirito (Matteo 27:50)?

Cristo: Perché non potesse sembrare che qualcuno mi togliesse la vita, ma che che io solo l’ho offerta in sacrificio (Giovanni 10:18).

Anima: Signore, perché hai affidato la tua anima nelle mani di tuo Padre (Luca 23:46)?

Cristo: Per insegnarti che cosa devi fare lasciando tu questa vita.

Anima: Signore, perché il velo del tempio si era squarciato in due, da cima a fondo, nel momento della tua morte (Matteo 27:51)?

Cristo: Per mostrare come la Legge levitica non sarebbe più stata un muro di divisione fra ebrei e Gentili e che la via del paradiso è ora aperta a tutti i credenti (Efesini 2:14; Ebrei 10:19,20).

Anima: Signore, perché la terra ha tremato e le rocce si sono spezzate alla tua morte (Matteo 27:51)?

Cristo: Per l’orrore di dover sopportare la morte del suo Signore e per denunciare la crudele durezza del cuore dei peccatori.

Anima: Signore, perché I soldati non ti hanno spezzato le gambe come hanno fatto a quei malfattori che erano stati crocifissi alla tua destra ed alla tua sinistra (Esodo 12:46; Giovanni 19:33)?

Cristo: Affinché tu potessi sapere che essi non avevano il potere di farmi nulla di più di quanto la Scrittura avesse predetto e che avrei dovuto soffrire per salvarti.

Anima: Signore, perchè il tuo prezioso fianco è stato trafitto con una lancia (Giovanni 19:34)?

Cristo: Affinché tu avessi modo di avvicinarti al mio cuore.

Anima: Signore, perché dal tuo fianco è uscito sangue ed acqua (Giovanni 19:34)?

Cristo Per assicurarti che io ero veramente morto, poiché il sangue del mio cuore grondava e l’acqua che era attorno al mio cuore colava, la quale, quando è sparsa una volta, l’uomo deve necessariamente morire.

Anima: Signore, perché, dalle tue ferite benedette, ne uscì prima il sangue e poi l’acqua?

Cristo: Per insegnarti due cose: Che per l’effusione del mio sangue la Giustificazione e la Santificazione erano adempiute a tua salvezza; e che il mio Spirito, attraverso il santo uso dell’acqua del battesimo e del sangue della Cena, opererà in te la giustizia e la santità, con la quale tu devi glorificarmi.

Anima: Signore, perché alla tua morte I sepolcri si sono aperti e molti corpi di credenti sono tornati in vita (Matteo 27:52)?

Cristo: Per insegnarti che la morte ha ricevuto dalla mia morte una ferita mortale ed è stata completamente sconfitta.

Anima: Signore, perché sei stato sepolto (Matteo 27:60)?

Cristo: Affinché I tuoi peccati non si levassero mai più in giudizio per accusarti.

Anima: Signore, perché il tuo corpo è stato deposto da due onorati consiglieri come Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea (Matteo 28:57; Giovanni 19:39-40)?

Cristo: Affinché la verità della mia morte, causa della tua vita, fosse certificata con maggiore evidenza a tutti.

Anima: Signore, perché sei stati inumato in un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto (Giovanni 19:41; Matteo 27:60)?

Cristo: Affinché potesse essere chiaro che sarebbe risuscitato il mio corpo, e non quello di un altro; e che era stato per mia propria potenza, e non per virtù di un altro come colui che era tornato in vita dopo essere stato a contatto con le ossa di Eliseo (2 Re 13:21).

Anima: Signore, perché tu sei risuscitato (Matteo 28:6)?

Cristo: Per assicurati che io sono stato consegnato alla morte a causa delle tue colpe e sono risuscitato per la tua giustificazione (Romani 14:25).

Anima: Signore, perché sono risuscitati molti corpi dei santi che prima dormivano, al momento della tua risurrezione (Matteo 27:52-53; Atti 17:31)?

Cristo: Per assicurarti che tutti i santi risorgeranno, in virtù della mia risurrezione, l’ultimo giorno.

Anima: Signore, come posso ricambiarti per tutto il bene che mi hai fatto (Salmo 116:12)?Cristo: Ama il tuo Creatore, e diventa una nuova creatura (Galati 6:15).

http://enciclopediateologica.pbworks.com/w/page/139102266/PDP%2052-1

Le risorse spirituali dei cristiani del passato

Ecco perché ripropongo alla vostra attenzione opere di spiritualità riformata e puritana come “La pratica della pietà”, di Luigi Bailey (1565-1631).

Epidemie, malattie, carestie, guerre, difficoltà di ogni genere: questo è ciò che dovevano affrontare costantemente le generazioni dei secoli passati – prive delle risorse mediche e sanitarie moderne e dalla vita molto dura. I cristiani, però, avevano risorse spirituali di prim’ordine che non solo davano loro forza di vivere, sopravvivere e morire con dignità ed eroismo, ma anche di produrre opere ed esempi di grande valore che hanno travalicato i secoli. 

In particolare Riformati e Puritani, nutriti di pura sapienza biblica, ci hanno lasciato in eredità opere letterarie che sono autentici tesori che solo pochi oggi conoscono ed apprezzano. Spesso misconosciute alla nostra generazione, troppo spesso superficiale e pressapochista – e nel contempo presuntuosa, perché crede di saperne di più e di meglio delle passate generazioni cristiane – queste opere rimangono nascoste nei musei o presso qualche collezionista. Sbaglieremmo se le considerassimo opere letterarie “di puro interesse storico”: quando ne affrontiamo senza pregiudizi la lettura ci rendiamo ben presto conto di avere sotto mano una sapienza che solo la stupidità moderna potrebbe sottovalutare.

Questo è ciò di cui mi sono reso conto quando ero pastore in Bregaglia, al servizio di chiese eredi di antiche ed ininterrotte tradizioni protestanti di lingua italiana. Facendo visita all’anziano organista della nostra comunità, avevo trovato come egli collezionasse in casa antichi libri del cinque, sei e settecento: libri di canto, catechismi, liturgie, manuali devozionali in lingua italiana della fede riformata classica, quelli che, insieme ad antiche copie della Bibbia, si tramandavano le famiglie di generazione in generazione (e che altrove erano state distrutte dal fuoco dell’Inquisizione). Mi ero così fatto imprestare diverso di questo materiale e mi sono appassionato alla sua lettura, e questo non per “motivazioni storiche”, ma cercando di coglierne ed assorbirne il valore spirituale, le lezioni. Avevo così ben presto scoperto come queste opere nutrissero il mio spirito molto di più di tante opere moderne, al cui confronto trovavo aride e inconsistenti.

Molte di queste antiche opere di fede riformata in italiano le avevo fotocopiate e alcune trascritte, cercando di aggiornarle dal punto di vista linguistico, dato che l’italiano antico è piuttosto difficile da leggere. Oggi, grazie a Dio, le ritrovo disponibili a tutti (e molte altre ancora!) in versione scannerizzata dalla Google Libri, la cui iniziativa trovo di stupefacente importanza, perché solo pochi andrebbero a cercarle e scartabellarle in musei sparsi per il mondo, là dove erano finite.

Insomma, per tornare al nostro punto di partenza, questi tesori letterari della fede cristiana, in particolare riformata e puritana (mi attengo alla mia tradizione senza per questo disprezzarne altre) sono tesori di sapienza biblica di estremo valore proprio oggi che i puntelli che sostengono la vita moderna, stanno collassando uno dopo l’altro dimostrando tutta la loro fragilità. Tutto questo ci manda in panico, ma potrebbe essere (anzi ne sono sicuro) un’azione provvidenziale di Dio che salva coloro che gli appartengono facendo loro riscoprire ed riutilizzare le risorse spirituali che hanno sostenuto efficacemente i nostri padri e madri nella fede.Ecco perché ripropongo alla vostra attenzione opere di spiritualità riformata e puritana come “La pratica della pietà”, di Luigi Bailey (1565-1631), che era proprio uno dei libri da me trovati e riscoperti nella biblioteca del mio anziano organista della Bregaglia (libro tradotto e diffuso nei secoli passati in molte lingue e che a me sarebbe stato altrimenti sconosciuto). Non è l’unico, anzi, ma faremmo bene ad assorbire anche oggi la sapienza biblica che lo ha ispirato.

http://enciclopediateologica.pbworks.com/w/page/139084803/La%20pratica%20di%20piet%C3%A0%20Copertina

Discorso dell’anima rapita in contemplazione della Passione del suo Signore

Che avevi tu fatto, o mio dolce Salvatore! Oh mio benedetto Redentore! Che tu sia stato così indegnamente tradito da Giuda, venduto ai Giudei, preso e legato come un ladrone e condotto come un agnello al macello? Che male avevi tu fatto di dover essere così falsamente accusato ed ingiustamente condannato, davanti ad Hanna e davanti a Caiafa, sommi sacerdoti dei Giudei, e davanti al tribunale di Pilato, giudice pagano e governatore di Cesare? Qual era la tua offesa, o che ingiuria facesti mai ad altri, che tu sia stato così spietatamente flagellato e coronato di spine, schernito, ingiuriato con parole, schiaffeggiato e percosso con verghe? Signore, qual era il tuo crimine per cui fosti sputato in faccia? Che le tue vesti siano state divise, le tue mani e i suoi piedi inchiodati alla croce? Che tu sia stato trattato come un uomo maledetto e crocifisso fra due ladroni? Che tu abbia dovuto bere fiele ed aceto, e nella tua agonia portare il peso dell’ira di Dio che ti fece gridare come se tu fossi stato abbandonato da Dio tuo Padre? Anzi, che con una lancia crudele ti sia stato forato il tuo cuore innocente, ed abbia sparso il tuo prezioso sangue davanti agli occhi della tua benedetta Madre? Mio dolce Salvatore, che tormenti hai sofferto tu in quell’estremità! 

Io sono tutto stupefatto soltanto a pensarvi. Io ricerco se vi fosse stata in te una qualche colpa, ma io non trovo alcun misfatto in te. No, no, frode alcuna non fu trovata nella tua bocca; nessuno dei tuoi nemici non ardiva accusarti; i falsi testimoni si contraddicevano nelle loro testimonianze. Il giudice che ti condanna pubblica la tua innocenza; la sua moglie gli manda a dire che aveva sofferto molto per te in sogno, che tu eri giusto e che egli non avesse da fare nulla con te. Il centurione che fu presente alla tua morte, confessò che tu eri veramente giusto e il Figlio di Dio. Uno dei ladroni crocefissi con te ti giustificò quando disse che tu non avevi commesso alcun misfatto. Qual è dunque la ragione, o Signore, della tua crudele ignominia, di tante sofferenze e della tua morte? 

Signore, io sono la causa di tutti I tuoi dolori; i miei peccati ti hanno esposto a vituperio, e le mie iniquità ad ignominia. Io ho commesso il fallo e tu sei stato castigato; io sono colpevole e tu sei stato chiamato a giudizio; io ho commesso il peccato e tu hai sofferto la morte; io sono il reo e tu sei stato attaccato alla croce! Oh profondità dell’amore di Dio! Oh meravigliosa disposizione della grazia celeste! Oh immensa grandezza della misericordia divina! L’uomo trasgredisce e Dio è punito! Il colpevole e liberato e l’innocente è condannato! Il malfattore è assolto ed il giusto oppresso! Ciò che lo scellerato ha meritato lo patisce il giusto! Il servitore commette l’errore e il padrone ne porta la pena. Che potrei dire di più? L’uomo peccatore è reso immortale ed Iddio muore! 

Oh Figliol di Dio, chi potrebbe a sufficienza esprimere il tuo amore, ammirare la tua pietà, celebrare le tue lodi? Io ero superbo e tu ti sei umiliato; io ero ribelle e tu sei stato ubbidiente; io ho mangiato il frutto proibito e tu sei stato fatto maledizione per me sull’albero della croce; io sono stato goloso e tu hai digiunato! La cattiva concupiscenza mi adescò a mangiare del frutto dilettevole ai miei occhi ed una carità perfetta ti fece bere dall’amaro calice dell’ira di Dio. Oh Dio mio! Io vedo qui la tua bontà e la mia malvagità, la tua giustizia e la mia ingiustizia, empietà della mia carne e la pietà della tua natura! Oh benedetto Salvatore: tu hai sofferto tutte queste cose per amor mio! 

Che ti renderò io per tutti questi benefici con I quali tu hai arricchito la mia anima? Signore, io riconosco di non potere soddisfare ciò che ti devo per la mia creazione; perché anche solo da quel punto di vista io sarei obbligato ad amarti ed adorarti con tutto il mio cuore e con tutto il mio affetto! Se io ti dovevo me stesso per la mia creazione, che ti renderò io ora che tu hai dato te stesso per me ed hai sofferto una morte così crudele per riscattarmi? Era già un gran beneficio aver voluto crearmi, ma qual lingua può esprimere la grandezza di quella Grazia, che mi hai fatto sì da riscattarmi a così tanto prezzo, quando io ero meno che niente? Certamente, Signore, se io non posso ringraziarti come devo (e chi potrebbe darti cosa alcuna, atteso che tu dai le tue grazie senza considerazione di alcun merito, o senza alcuna proporzione?), il gran numero delle tue benedizioni sanno salirmi; come posso io pagare il capitale, io che non posso soddisfare la minima parte delle sostanze e degli interessi del tuo amore? Ma tu sai, Signore, che dopo aver perduto la tua immagine, per il fallo dei miei progenitori, io non posso amarti con tutte le mie forze e con tutto il mio cuore come dovrei. Dunque, come tu mi hai amato quando io ero figlio dell’ira e nella massa corrotta del mondo condannato alla dannazione eterna, così io ti prego ora che ti piaccia spandere il tuo amore, per mezzo del tuo Santo Spirito, in tutte le facoltà della mia anima e in tutti I miei affetti. Benché io non possa amarti come sarei obbligato a fare, pure là che io mi sforzi almeno di servirti e di piacerti, in modo che I miei deboli sforzi ti siano graditi per la tua grazia, affinché io possa amare il mio prossimo con un cuore sincero come me stesso, per amor di te; ed amarti sopra ogni altra cosa per amore di te stesso. Che niente mi aggradisca se non ciò che aggrada a te; e non permettere, o benignissimo Salvatore, che perisca colui che tu hai riscattato col tuo prezioso sangue. Oh Signore, fa che io non mi dimentichi mai del tuo infinito amore e dell’inenarrabile beneficio della mia redenzione, senza la quale sarebbe stato meglio che io non fossi mai nato, che d’aver ricevuto l’essere. 

E poiché ti è piaciuto assistermi con il tuo santo Spirito, permettimi, o Padre celeste, che sei il Padre degli spiriti, di dirti ancora qualche parola nel nome e per amore del tuo Figliolo. Oh Padre mio, non rigettarmi per I miei peccati, come io ho meritato; anzi, tu misericordioso verso di me, per amore del tuo unico Figliolo, il quale ha patito tanto per me. Tu non vedi altro in me che miseria ed iniquità, che provocano contro di me la tua giusta ira. Ma volgi gli occhi sui meriti del tuo Figliolo e li troverai come sufficienti, che ti commuoveranno a pietà e compassione. Contempla il mistero della sua incarnazione; perdonami e rimettimi la pena delle mie trasgressioni. Ed ogni volta che tu guardi le piaghe del tuo Figliolo, nascondi e caccia via da te l’orrore dei miei peccati. Quando il suo sangue gronda davanti a te, siano i miei peccati cancellati dal tuo libro. La mia carne fragile ha provocato la tua giusta ira, ma io ti supplico che la purezza della tua carne ti persuada ad usarmi misericordia, e che come la mia carne mi ha fatto peccare, la sua carne mi riconcili a te. La mia disubbidienza ha meritato una grande vendetta, ma la sua ubbidienza merita maggior misericordia. Ciò che l’uomo merita di soffrire, Iddio fattosi uomo merita che gli sia perdonato. 

Quando io considero la moltitudine delle sue sofferenze, io vedo verificato ciò che è stato detto, che Gesù Cristo è venuto nel mondo per salvare i più grandi peccatori. Dunque, come ardisti tu dire, o sventurato Caino, che la tua iniquità era più grande di quanto tu potessi portare? Tu mentisti come un assassino. Le misericordie di un solo Gesù Cristo sono più che potenti e più che sufficienti per lavare un milione di Caini, purché credano e si pentano. I peccati di tutti I peccatori sono finiti, ma misericordia di Dio è infinita. Laonde, oh Dio, per amore dell’amara morte e della sanguinosa Passione che il tuo Figliolo Gesù Cristo ha sofferta per me, e che ora mi rappresento davanti agli occhi, perdonami tutti i miei peccati e liberami dalla maledizione e dalla pena che hanno giustamente meritato. E per i suoi meriti, oh Signore, fammi partecipe della tua misericordia, alla cui porta io picchio con tanto ardire ed ardore. Io nella mia importunità non cesserò di bussare, simile a colui che domandava in prestito i pani dal suo amico, fintanto che tu non ti levi e mi apri la porta della tua grazia. E se tu non vuoi darmi pani interi, Signore, non ricusarmi almeno le briciole della tua misericordia, che contenteranno il tuo povero figliolo affamato. E poiché tu non richiedi altro da me, in riconoscenza di tutte le tue benedizioni, se non che io t’ami d’un cuor sincero (del quale la nuova creatura è il più verace testimonio eterno) e che ti è così facile di me fare una nuova creatura, come di comandarmelo: crea in me, Signor Gesù, un cuor nuovo e rinnova dentro di me il tuo divino Spirito. Allora, essendo mortificato il vecchio Adamo, con tutti I suoi desideri carnali), tu vedrai che io ti servirò come un uomo rigenerato, che io vivrò in novità di vita, che io camminerò per una nuova strada, guidato da una nuova luce; che I miei pensieri, le mie parole, le mie azioni saranno tutte nuove; e che io non sarò più niente se non alla gloria del tuo gran Nome, ad utilità dei tuoi figlioli ed alla conversione delle anime peccatrici, che si avvaleranno del mio esempio. Preservami, o Salvatore mio, dai tormenti dell’inferno e dalla tirannia del Diavolo; e quando io avrò finito il corso di questa vita, manda I tuoi santi angeli che mi portino (come portarono l’anima del povero Lazzaro) nel tuo celeste Regno. Ricevimi allora nel tuo paradiso come ricevesti il ladrone convertito nel giorno della tua morte. 

(Lewis Bayly, 1565-1631)

La salvezza viene dai Giudei

Le Scritture ebraiche dell’Antico Testamento sono e rimangono anche per i cristiani Parola di Dio. Che cosa possiamo imparare da esse in una situazione di emergenza sanitaria come quella che stiamo attraversando? Ho “tradotto” e ampliato ciò che afferma al riguardo il rabbino Alberto Somekh. Rimanete nelle vostre case fintanto che sia passato l’angelo della morte! E’ saggio chi valorizza ed ubbidisce la sapienza rivelata di Dio.

Il Signore Gesù aveva detto alla donna samaritana incontrata al pozzo di Giacobbe una verità che troppo spesso oggi si trascura (a nostro danno), vale a dire: Voi adorate quel che non conoscete; noi adoriamo quel che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei (Giovanni 4:22). Già, essi possono aver errato in varie maniere interpretandole male, ma le Scritture ebraiche erano e rimangono Parola di Dio, e quando quella tradizione vi rimane fedele (come lo è in molti aspetti della sapienza antica), la Legge di Dio (la Torah) va onorata ed ubbidita, così come faceva il Signore Gesù.

Il rabbino Someck mette in evidenza in primo luogo, un principio generale: “voi, che vi teneste stretti al SIGNORE vostro Dio, siete oggi tutti in vita” (Deuteronomio 4:4). In secondo luogo, come rileva il Talmud: “se in città c’è una pestilenza ritira i tuoi passi” (Bavà Qammà 60), cioè: chiuditi in casa. Questo principio è fatto derivare da tre principi.

Il primo è tratto dal racconto dell’ultima piaga d’Egitto, la morte dei primogeniti, scoppiata a mezzanotte. Agli Ebrei fu richiesto di non uscir di casa fino al mattino, perché una volta che il morbo colpisce potrebbe non fare più distinzioni. “Questo è il sacrificio della Pasqua in onore del SIGNORE, il quale passò oltre le case dei figli d’Israele in Egitto, quando colpì gli Egiziani e salvò le nostre case” (Esodo 12:27). E qualora pensassimo che la restrizione è in vigore solo di notte arriva un altro versetto: “Va’, o mio popolo, entra nelle tue camere, chiudi le tue porte, dietro a te; nasconditi per un istante, finché sia passata l’indignazione” (Isaia 26:20), cioè l’ira divina. La pestilenza è espressione dell’ira di Dio! E qualora pensassimo ancora che potrebbe farci bene uscire insieme agli altri per vincere il timore all’interno, ricordiamoci che: “Di fuori la spada [della malattia] e di dentro il terrore spargeranno il lutto, mietendo giovani e fanciulle, lattanti e uomini canuti” (Deuteronomio 32:25). Le recenti disposizioni governative sono dunque perfettamente in linea con la tradizione ebraica e vanno rispettate. 

Ecco così che, come dice il rabbino Someck, chi esce di casa senza motivo non si limita a infrangere una legge dello Stato, ma infrange la Halakhah, cioè la legge comportamentale stabilita da Dio per il Suo popolo. Poi aggiunge: “Confidare in Dio non significa trascurare ciò che umanamente siamo tenuti a fare per preservare la salute nostra e degli altri“. 

In quel caso sicuramente non sono da fare processioni e assembramenti di preghiera! “Tutti ricordiamo Monsignor Mazenta dei Promessi Sposi che durante la peste manzoniana moltiplicava le processioni e così diffondeva la malattia”.

Che cosa possiamo imparare dagli ebrei da una situazione di emergenza sanitaria come quella che stiamo attraversando? Il rabbino dice: “Dobbiamo mettere a frutto questo periodo di clausura. Anzitutto approfittarne per studiare. Io preciserei pure studiare le Scritture per riflettere su noi stessi, identificare I nostri peccati, ravvederci da essi e riconsacrarci a Dio.

In secondo luogo dobbiamo imparare a sviluppare la dimensione domestica dell’Ebraismo, che per molti si è persa nel tempo, dal momento che quella comunitaria, cui siamo ormai abituati ad affidarci, non è al momento disponibile. Rivalutare e coltivare la vita famigliare.

Ma soprattutto dobbiamo imparare a gestire prudenza e pazienza. Pazienza verso l’esterno per via della reclusione forzata. Ma anche e soprattutto pazienza verso l’interno, verso gli altri membri della famiglia con cui ora siamo costretti a condividere spazi e tempi assai aldilà delle nostre normali abitudini. Come dice l’apostolo Pietro (evidentemente ebreo!) “Voi, per questa stessa ragione, mettendoci da parte vostra ogni impegno, aggiungete alla vostra fede la virtù; alla virtù la conoscenza; alla conoscenza l’autocontrollo; all’autocontrollo la pazienza; alla pazienza la pietà; alla pietà l’affetto fraterno; e all’affetto fraterno l’amore. Perché se queste cose si trovano e abbondano in voi, non vi renderanno né pigri, né sterili nella conoscenza del nostro Signore Gesù Cristo” (2 Pietro 1:5-8).

Dice il rabbino Someck: “Anche noi oggi stiamo vivendo un periodo di Din, in cui siamo sottoposti al Giudizio Divino. Lo stesso Ben Ish Chay (rabbino e religioso iracheno, m. 1909) racconta che portava al dito un anello su cui era incisa la scritta: “anche questo passerà”. Nei periodi lieti lo guardava ed evitava l’orgoglio pensando che le gioie terrene hanno comunque un limite. Ma anche nei periodi tristi lo osservava e diceva: “anche questo passerà” e lascerà spazio a qualcosa di differente. … “in misura della sofferenza sarà la ricompensa”. Confidiamo che Dio abbia in serbo per il nostro futuro un bene che ora non siamo minimamente in grado di immaginare. Che possiamo udire solo buone notizie!

E’ saggio chi valorizza ed ubbidisce la sapienza rivelata di Dio.

https://www.mosaico-cem.it/vita-ebraica/ebraismo/talmud-se-in-citta-ce-una-pestilenza-ritira-i-tuoi-passi-cioe-chiuditi-in-casa

7 segni di un cuore giusto davanti a Dio

DI J.C. Ryle

1) Un cuore giusto è un NUOVO cuore (Ezechiele 36:26). Non è il cuore con cui una persona nasce – ma un altro cuore messo in loro dallo Spirito Santo. È un cuore che ha nuovi gusti, nuove gioie, nuovi dolori, nuovi desideri, nuove speranze, nuove paure, nuovi gusti, nuovi antipatie. Ha nuove opinioni su anima, peccato, Dio, Cristo, salvezza, Bibbia, preghiera, paradiso, inferno, mondo e santità. È come una fattoria con un inquilino nuovo e buono. “Se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove” ( 2 Corinzi 5:17).

2) Un cuore giusto è un cuore CONTRITO ED AFFRANTO (Salmo 51:19). È contrito per essere stato pieno di orgoglio, di presunzione di sé e di essersi creduto giusto. L’alta considerazione che aveva per sé stesso è stata abbattuta, frantumata …fino a livello molecolare. Si ritiene colpevole, indegno e corrotto. La sua precedente testardaggine, pesantezza e insensibilità si sono scongelati, sono scomparsi e sono morti. Non pensa più alla leggera ciò che offende Dio. È tenero, sensibile e gelosamente timoroso di imbattersi nel peccato (2 Re 22:19). È umile tanto da non vedere in sé nulla di buono.

3) Un cuore giusto è un cuore che CREDE SOLO A CRISTO per la salvezza e in cui Cristo dimora per fede (Rom. 10:10 ; Ef 3:17). Poggia tutte le sue speranze di perdono e di vita eterna sull’espiazione di Cristo, sulla mediazione di Cristo e sull’intercessione di Cristo. È stato asperso dal sangue di Cristo e purificato da una coscienza malvagia (Ebr. 10:22). Si volge verso Cristo mentre l’ago della bussola gira verso nord. Si rivolge a Cristo per trovare la pace, la misericordia e la grazia quotidiane, come il fiore del sole guarda il sole. Si nutre di Cristo per il suo sostentamento quotidiano, come Israele si nutriva della manna nel deserto. Vede in Cristo tutto ciò che può soddisfare tutte le sue esigenze e necessità. Si appoggia a Lui, si attacca a Lui, si edifica su di Lui, si rivolge a Lui come suo medico, tutore, marito e amico.

4) Un cuore giusto è un cuore PURIFICATO (Atti 15: 9 ; Matt. 5: 8). Ama la santità e odia il peccato. Si sforza quotidianamente di purificarsi da ogni sporcizia di carne e spirito (2 Cor. 7: 1). Odia ciò che è malvagio e si attacca a ciò che è buono. Si rallegra della legge di Dio e vi è incisa quella legge, per non dimenticarla (Salmo 119: 11). Desidera mantenere la legge più perfettamente, e si compiace di coloro che amano la legge. Ama Dio e le persone. I suoi affetti si basano su cose di lassù. Non è mai così leggero e felice come quando è santo; e attende con gioia il cielo, come il luogo in cui si raggiungerà finalmente la perfetta santità.

5) Un cuore giusto è un cuore che prega. Ha al suo interno “lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!»” (Romani 8:15 ). La sua sensazione quotidiana è: “Cercherò il tuo volto, Signore” (Salmo 27: 8). È attratto da un’inclinazione abituale di parlare a Dio delle cose spirituali – debolmente, debolmente e forse in modo imperfetto – ma parlare deve. Trova necessario riversarsi davanti a Dio, come prima di un amico, e diffondere davanti a Lui tutti i suoi bisogni e desideri. Gli dice tutti i suoi segreti. Non gli trattiene nulla. Potresti anche provare a persuadere una persona a vivere senza respirare, a persuadere il possessore del cuore giusto a vivere senza pregare.

6) Un cuore giusto è un cuore che SENTE UN CONFLITTO al suo interno (Gal. 5:17). Trova in sé due principi opposti che contendono la padronanza: la carne che brama lo spirito e lo spirito contro la carne. Sa per esperienza cosa intende Paolo quando dice: “ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che combatte contro la legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del peccato, che è nelle mie membra” (Romani 7:23). Il cuore non retto non sa nulla di questo conflitto. Quando un uomo forte e ben armato fa la guardia alla sua casa, allora tutti i suoi beni li ritiene falsamente al sicuro (Luca 11:21). Quando, però, il re legittimo prende possesso del suo cuore, inizia una lotta che non finirà se non al termine di questa vita. Il cuore giusto può essere conosciuto sia dalle guerre che ingaggia che dalla sua pace.

7) Un cuore giusto è ONESTO, NON DIVISO e VERACE (Luca 8:15; 1 Cronache 12:33; Ebrei 10:22 ). In esso non si trova nulla che abbia a che fare con menzogna, ipocrisia o falsità. Non è un cuore doppio o diviso. È davvero ciò che professa di essere, sente ciò che professa di sentire e crede in ciò che professa di credere. La sua fede può essere debole. La sua obbedienza può essere molto imperfetta. Ma una cosa distinguerà sempre il cuore giusto. La sua religione sarà reale, autentica, approfondita e sincera.

► Riepilogo:

Un cuore come quello che ho ora descritto, è sempre stato il possesso di tutti i veri cristiani di ogni nome, nazione, popolo e lingua. Hanno magari avuto fra di loro differenze su molti argomenti, ma hanno tutti avuto il cuore giusto. Alcuni sono caduti, per una certo tempo, come Davide e Pietro, ma i loro cuori non si sono mai completamente allontanati dal Signore. Spesso si sono dimostrati uomini e donne carichi di infermità, ma il loro cuore era giusto agli occhi di Dio. Si sono capiti l’un l’altro sulla terra. Hanno scoperto che la loro esperienza è stata ovunque la stessa. Si capiranno ancora meglio nel mondo a venire. Tutto ciò che ha avuto cuori giusti sulla terra, troverà che ha un cuore solo quando entreranno in paradiso.

JC Ryle, Old Paths, “The Heart”, [Carlisle, PA: Banner of Truth, 1999], 348-351.