IL PECCATO È SEMPRE DI LESA MAESTÀ

“Omne peccatum in Deum committitur”: Ogni peccato è commesso contro Dio; cioè, dato che ogni peccato viola la legge di Dio, anche quando il suo risultato immediato è la sofferenza di altri esseri umani, in definitiva esso è commesso contro Dio stesso.

Quali sono le implicazioni di questo concetto?Quando Davide confessa affranto il suo adulterio ed omicidio, afferma: “Io conosco i miei misfatti, e il mio peccato è del continuo davanti a me. Io ho peccato contro te, contro te solo, e ho fatto ciò ch’è male agli occhi tuoi; lo confesso, affinché tu sia riconosciuto giusto quando parli, e irreprensibile quando giudichi” (Salmo 51:3-4).

Erano insensati e tardi di cuore, ma… (Luca 24:13-35)

Potrebbe Gesù stesso dire anche a noi di essere “insensati e tardi di cuore” quando non riconosciamo la sua presenza nella predicazione della Parola di Dio e nella celebrazione della Santa Cena? Ci confrontiamo oggi con il racconto dei due discepoli che camminano sulla via di Emmaus e ai quali appare Gesù risorto, come lo troviamo nel capitolo 24 del Vangelo secondo Luca. Prima ascoltiamolo, e poi faremo al riguardo qualche riflessione.

I due discepoli sulla via di Emmaus. “13In quello stesso giorno, due di loro se ne andavano verso un villaggio, di nome Emmaus, distante sessanta stadi da Gerusalemme. 14Ed essi parlavano tra loro di tutto quello che era accaduto. 15Or avvenne che, mentre parlavano e discorrevano insieme, Gesù stesso si accostò e si mise a camminare con loro. 16Ma i loro occhi erano impediti dal riconoscerlo. 17Egli disse loro: «Che discorsi sono questi che vi scambiate l’un l’altro, cammin facendo? E perché siete mesti?». 18E uno di loro, di nome Cleopa, rispondendo, gli disse: «Sei tu l’unico forestiero in Gerusalemme, che non conosca le cose che vi sono accadute in questi giorni?». 19Ed egli disse loro: «Quali?». Essi gli dissero: «Le cose di Gesù Nazareno, che era un profeta potente in opere e parole davanti a Dio e davanti a tutto il popolo. 20E come i capi dei sacerdoti e i nostri magistrati lo hanno consegnato per essere condannato a morte e l’hanno crocifisso. 21Or noi speravamo che fosse lui che avrebbe liberato Israele; invece, con tutto questo, siamo già al terzo giorno da quando sono avvenute queste cose. 22Ma anche alcune donne tra di noi ci hanno fatto stupire perché, essendo andate di buon mattino al sepolcro 23e non avendo trovato il suo corpo, sono tornate dicendo di aver avuto una visione di angeli, i quali dicono che egli vive. 24E alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato le cose come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto». 25Allora egli disse loro: «O insensati e tardi di cuore a credere a tutte le cose che i profeti hanno detto! 26Non doveva il Cristo soffrire tali cose, e così entrare nella sua gloria?». 27E cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture le cose che lo riguardavano. 28Come si avvicinavano al villaggio dove erano diretti, egli finse di andare oltre. 29Ma essi lo trattennero, dicendo: «Rimani con noi, perché si fa sera e il giorno è già declinato». Egli dunque entrò per rimanere con loro. 30E, come si trovava a tavola con loro, prese il pane, lo benedisse e, dopo averlo spezzato, lo distribuì loro. 31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero; ma egli scomparve dai loro occhi. 32Ed essi si dissero l’un l’altro: «Non ardeva il nostro cuore dentro di noi, mentre egli ci parlava per la via e ci apriva le Scritture?». 33In quello stesso momento si alzarono e ritornarono a Gerusalemme, dove trovarono gli undici e quelli che erano con loro riuniti insieme. 34Costoro dicevano: «Il Signore è veramente risorto ed è apparso a Simone». 35Essi allora raccontarono le cose avvenute loro per via, e come lo avevano riconosciuto allo spezzar del pane” (Luca 24:13-35).

Due discepoli di Gesù, tre giorni dopo la sua condanna a morte in croce ed esecuzione, ritornano a casa, abbattuti, tristi e delusi. “Noi speravamo che fosse lui che avrebbe liberato Israele” (21), dicono. Avevano le loro idee su quello che avrebbe dovuto essere per loro il Liberatore, il Messia, e forse avevano accolto in passato dalle parole di Gesù solo quello che meglio si confaceva con le loro idee, tralasciando il resto, sottovalutandolo, “spiegandolo” a modo loro… Uno di loro si chiamava Cleopa (18) e forse sarebbe stato un buon potenziale scrittore di un “Quinto Vangelo”, il “Vangelo secondo Cleopa”, uno dei tanti che di fatto sono stati scritti, diversi dai quattro canonici (Matteo, Marco, Luca, e Giovanni), fatti aggiungendo o togliendo cose diverse dalla verità rivelata, secondo idee personali, o ideologie. Anche oggi ce ne sono tanti presunti vangeli adattati alle ideologie correnti e fatti passare per buoni. Sono anche di successo – perché hanno sempre successo vangeli riveduti e corretti, “più convenienti”, popolari, meno controversi, meglio “adatti allo spirito della nostra epoca”, ma falsi, ingannevoli e, alla fin fine, deludenti.

Sulla via di Emmaus i due discepoli tristi e delusi, “parlavano e discorrevano insieme” (15), o meglio, discutevano animatamente fra di loro. Assomigliano alle discussioni accademiche che si fanno in certi circoli teologici o filosofici, o magari nelle scuole teologiche moderniste, dove i discepoli non sono lì, in fondo, per imparare dalle Sacre Scritture, ma per criticare, dibattere, confrontando e valutando, con criteri ad esse estranei. L’apostolo Paolo, mentre predicava l’Evangelo rivelato, ne aveva incontrati di questi critici di professione, tipicamente fra i filosofi di Atene che “non avevano passatempo migliore che quello di dire o ascoltare qualche novità” (Atti 17:21), tanto che ad un certo punto, in una sua lettera, egli scrive: “Infatti, che cosa hanno ora da dire i sapienti, gli studiosi, gli esperti in dibattiti culturali? Dio ha ridotto a pazzia la sapienza di questo mondo. Gli uomini, con tutto il loro sapere, non sono stati capaci di conoscere Dio e la sua sapienza. Perciò Dio ha deciso di salvare quelli che credono, mediante questo annunzio di salvezza che sembra una pazzia” (1 Corinzi 1:20-21 TILC).

Si tratta di una “pazzia” che Gesù stesso riprende in quegli stessi due discepoli che incontra sulla via per Emmaus, e che non teme di chiamare “insensati e tardi di cuore” (25). Erano infatti stati esposti per molto tempo, prima all’insegnamento delle Sacre Scritture ebraiche e poi quello teorico e pratico di Gesù stesso, ma che cosa avevano di fatto compreso? “I loro occhi erano impediti dal riconoscerlo” (16), dice il nostro testo a loro riguardo – impediti dal riconoscere il Cristo, il Messia, che non solo era li presente accanto a loro (e non lo riconoscevano) ma che poteva essere trovato in tutte le Scritture che già avevano esplicitato i termini del suo ministero. E’ così, infatti, che mentre camminano Gesù, con grande pazienza, fa loro una ripetizione delle lezioni che già erano state loro impartite: “E cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture le cose che lo riguardavano” (27). 

Eh si, ci sono sempre studenti testoni e “tardi” ai quali bisogna ripetere sempre le stesse cose finché non imparino. Gesù spiega loro “da tutte le Scritture” ciò che lo riguardavano …con buona pace anche di coloro che oggi sottovalutano e spesso accantonano l’Antico Testamento, come se fosse inferiore, come se non contenesse Cristo o non abbastanza, come se non fosse Parola di Dio altrettanto come il Nuovo Testamento, come se non contenesse quella Legge che continua ad essere regola di fede e di morale anche per noi cristiani… E’ un po’ come coloro che, rifiutandosi di cantare i Salmi biblici durante il culto (come dovrebbero) dicono che esse “non contengono Cristo” o l’Evangelo e quindi preferiscono i loro “inni” con testi “meglio adatti” e scritti da altri… E’ una delle diverse tipiche obiezioni al canto dei Salmi, ma anche di loro Gesù direbbe: “Insensati e tardi di cuore”. Non vedete come la Legge di Mosè, i Profeti e i Salmi sono pieni di Cristo? Già, non vedono. Hanno bisogno di pazienti “lezioni di sostegno” e ripetizioni da parte di chi queste cose le vede (ammesso che stiano ad ascoltarli, senza accantonarli con sdegno). Aspettano forse che Gesù compaia loro personalmente per convincerli che le cose non stanno come loro pensano e fanno? Un giorno in cielo egli lo farà, ma che vergogna per chi si ostinava a non vedere il Cristo nell’Antico Testamento! La spiegazione dell’Antico Testamento, quando è fatta bene e veracemente, ancora oggi non solo è disponibile, ma può suscitare la stessa buona reazione che i due discepoli sulla via di Emmaus avevano avuto esclamando: “Non ardeva il nostro cuore dentro di noi, mentre egli ci parlava per la via e ci apriva le Scritture?” (32).

Oltre che da un’efficace istruzione biblica, i due discepoli “riconoscono Cristo” quando? “Allo spezzare del pane” (35)! La celebrazione dell’ordinanza della Cena del Signore, accompagnata dalla fedele esposizione delle Scritture, è infatti il mezzo istituito dalla Parola di Dio stessa per tutti i cristiani, in cui Cristo si rende presente. Non stiamo qui ora a discutere in che modo il Cristo si renda oggi presente attraverso la celebrazione della Cena del Signore. Non è una presenza fisica (nessuna crassa idea di transustanziazione) e neanche una semplice presenza simbolica, ma Cristo è presente spiritualmente ma realmente nella celebrazione della Santa Cena, accompagnata dalla predicazione della Parola di Dio. Questo è stato e rimane fonte di grande consolazione per il popolo di Dio riunito. 

La Confessione di fede di Westminster, a questo riguardo afferma (la cito solo in parte): “Il Signore nostro Gesù Cristo, nella notte in cui fu tradito, istituì il Sacramento del Suo corpo e sangue, che chiamiamo Cena del Signore, affinché fosse celebrata nella Sua Chiesa fino alla fine del mondo, in memoria perpetua del sacrificio di Sé stesso nella Sua morte; per suggellarne tutti i benefici per tutti i veri fedeli; per essere il loro alimento spirituale e crescita in Lui; perché si impegnassero ulteriormente ad assolvere tutti i loro doveri verso di Lui; e per essere un vincolo e un pegno della loro comunione con Lui e fra di loro come membri del Suo corpo mistico” (29:1). “Gli elementi esteriori di questo Sacramento, messi debitamente a parte per gli usi ordinati da Cristo, hanno un tale legame con Lui crocifisso da essere veramente, ma solo sacramentalmente, chiamati con il nome delle cose che essi rappresentano, vale a dire il corpo ed il sangue di Cristo. Tuttavia, in sostanza ed in natura, essi rimangono veramente e solamente nulla di meno di quanto erano prima, vale a dire pane e vino” (29:5); “Coloro che ricevono degnamente questo sacramento, partecipando ai suoi elementi visibili, pure ricevono e si cibano di Cristo crocifisso e di tutti i benefici della Sua morte interiormente e per fede. Questo avviene realmente e veramente – non carnalmente e fisicamente, ma in modo spirituale. In questa ordinanza, il corpo ed il sangue di Cristo non si trova, infatti, in maniera corporea o fisica in, con o sotto il pane ed il vino, ma si rende presente alla fede dei credenti in maniera spirituale, non meno di quanto gli elementi stessi siano presenti ai loro sensi esterni” (29:7).

I due discepoli che stavano camminando sulla via che porta a Emmaus, nonostante si fossero rivelati “insensati e tardi di cuore” ricevono la grazia della rivelazione del Cristo risorto che insegna loro le Scritture e condivide con loro pane e vino. In quel modo noi oggi non dobbiamo aspettarcelo, ma la promessa della presenza reale di Gesù accanto a noi rimane quando riceviamo la predicazione o insegnamento fedele della Parola di Dio (Antico e Nuovo Testamento), come pure attraverso la celebrazione della Cena del Signore. Deve essere nostro impegno di parteciparvi dovunque e quandunque ne abbiamo l’opportunità, sicuri che il Cristo lo incontreremo e il nostro cuore “arderà” di gioia e riconoscenza, in attesa del suo ritorno. Toccherà poi anche a noi – sulla base della nostra esperienza – annunciare, condividere a tutti l’Evangelo, con la parola e i fatti. Sarà per noi cosa spontanea il farlo, “uscendo anche se è ormai notte”. Fare come quei discepoli che: “raccontarono le cose avvenute loro per via, e come lo avevano riconosciuto allo spezzar del pane” (35).

Discorso dell’anima rapita in contemplazione della Passione del suo Signore

Che avevi tu fatto, o mio dolce Salvatore! Oh mio benedetto Redentore! Che tu sia stato così indegnamente tradito da Giuda, venduto ai Giudei, preso e legato come un ladrone e condotto come un agnello al macello? Che male avevi tu fatto di dover essere così falsamente accusato ed ingiustamente condannato, davanti ad Hanna e davanti a Caiafa, sommi sacerdoti dei Giudei, e davanti al tribunale di Pilato, giudice pagano e governatore di Cesare? Qual era la tua offesa, o che ingiuria facesti mai ad altri, che tu sia stato così spietatamente flagellato e coronato di spine, schernito, ingiuriato con parole, schiaffeggiato e percosso con verghe? Signore, qual era il tuo crimine per cui fosti sputato in faccia? Che le tue vesti siano state divise, le tue mani e i suoi piedi inchiodati alla croce? Che tu sia stato trattato come un uomo maledetto e crocifisso fra due ladroni? Che tu abbia dovuto bere fiele ed aceto, e nella tua agonia portare il peso dell’ira di Dio che ti fece gridare come se tu fossi stato abbandonato da Dio tuo Padre? Anzi, che con una lancia crudele ti sia stato forato il tuo cuore innocente, ed abbia sparso il tuo prezioso sangue davanti agli occhi della tua benedetta Madre? Mio dolce Salvatore, che tormenti hai sofferto tu in quell’estremità! 

Io sono tutto stupefatto soltanto a pensarvi. Io ricerco se vi fosse stata in te una qualche colpa, ma io non trovo alcun misfatto in te. No, no, frode alcuna non fu trovata nella tua bocca; nessuno dei tuoi nemici non ardiva accusarti; i falsi testimoni si contraddicevano nelle loro testimonianze. Il giudice che ti condanna pubblica la tua innocenza; la sua moglie gli manda a dire che aveva sofferto molto per te in sogno, che tu eri giusto e che egli non avesse da fare nulla con te. Il centurione che fu presente alla tua morte, confessò che tu eri veramente giusto e il Figlio di Dio. Uno dei ladroni crocefissi con te ti giustificò quando disse che tu non avevi commesso alcun misfatto. Qual è dunque la ragione, o Signore, della tua crudele ignominia, di tante sofferenze e della tua morte? 

Signore, io sono la causa di tutti I tuoi dolori; i miei peccati ti hanno esposto a vituperio, e le mie iniquità ad ignominia. Io ho commesso il fallo e tu sei stato castigato; io sono colpevole e tu sei stato chiamato a giudizio; io ho commesso il peccato e tu hai sofferto la morte; io sono il reo e tu sei stato attaccato alla croce! Oh profondità dell’amore di Dio! Oh meravigliosa disposizione della grazia celeste! Oh immensa grandezza della misericordia divina! L’uomo trasgredisce e Dio è punito! Il colpevole e liberato e l’innocente è condannato! Il malfattore è assolto ed il giusto oppresso! Ciò che lo scellerato ha meritato lo patisce il giusto! Il servitore commette l’errore e il padrone ne porta la pena. Che potrei dire di più? L’uomo peccatore è reso immortale ed Iddio muore! 

Oh Figliol di Dio, chi potrebbe a sufficienza esprimere il tuo amore, ammirare la tua pietà, celebrare le tue lodi? Io ero superbo e tu ti sei umiliato; io ero ribelle e tu sei stato ubbidiente; io ho mangiato il frutto proibito e tu sei stato fatto maledizione per me sull’albero della croce; io sono stato goloso e tu hai digiunato! La cattiva concupiscenza mi adescò a mangiare del frutto dilettevole ai miei occhi ed una carità perfetta ti fece bere dall’amaro calice dell’ira di Dio. Oh Dio mio! Io vedo qui la tua bontà e la mia malvagità, la tua giustizia e la mia ingiustizia, empietà della mia carne e la pietà della tua natura! Oh benedetto Salvatore: tu hai sofferto tutte queste cose per amor mio! 

Che ti renderò io per tutti questi benefici con I quali tu hai arricchito la mia anima? Signore, io riconosco di non potere soddisfare ciò che ti devo per la mia creazione; perché anche solo da quel punto di vista io sarei obbligato ad amarti ed adorarti con tutto il mio cuore e con tutto il mio affetto! Se io ti dovevo me stesso per la mia creazione, che ti renderò io ora che tu hai dato te stesso per me ed hai sofferto una morte così crudele per riscattarmi? Era già un gran beneficio aver voluto crearmi, ma qual lingua può esprimere la grandezza di quella Grazia, che mi hai fatto sì da riscattarmi a così tanto prezzo, quando io ero meno che niente? Certamente, Signore, se io non posso ringraziarti come devo (e chi potrebbe darti cosa alcuna, atteso che tu dai le tue grazie senza considerazione di alcun merito, o senza alcuna proporzione?), il gran numero delle tue benedizioni sanno salirmi; come posso io pagare il capitale, io che non posso soddisfare la minima parte delle sostanze e degli interessi del tuo amore? Ma tu sai, Signore, che dopo aver perduto la tua immagine, per il fallo dei miei progenitori, io non posso amarti con tutte le mie forze e con tutto il mio cuore come dovrei. Dunque, come tu mi hai amato quando io ero figlio dell’ira e nella massa corrotta del mondo condannato alla dannazione eterna, così io ti prego ora che ti piaccia spandere il tuo amore, per mezzo del tuo Santo Spirito, in tutte le facoltà della mia anima e in tutti I miei affetti. Benché io non possa amarti come sarei obbligato a fare, pure là che io mi sforzi almeno di servirti e di piacerti, in modo che I miei deboli sforzi ti siano graditi per la tua grazia, affinché io possa amare il mio prossimo con un cuore sincero come me stesso, per amor di te; ed amarti sopra ogni altra cosa per amore di te stesso. Che niente mi aggradisca se non ciò che aggrada a te; e non permettere, o benignissimo Salvatore, che perisca colui che tu hai riscattato col tuo prezioso sangue. Oh Signore, fa che io non mi dimentichi mai del tuo infinito amore e dell’inenarrabile beneficio della mia redenzione, senza la quale sarebbe stato meglio che io non fossi mai nato, che d’aver ricevuto l’essere. 

E poiché ti è piaciuto assistermi con il tuo santo Spirito, permettimi, o Padre celeste, che sei il Padre degli spiriti, di dirti ancora qualche parola nel nome e per amore del tuo Figliolo. Oh Padre mio, non rigettarmi per I miei peccati, come io ho meritato; anzi, tu misericordioso verso di me, per amore del tuo unico Figliolo, il quale ha patito tanto per me. Tu non vedi altro in me che miseria ed iniquità, che provocano contro di me la tua giusta ira. Ma volgi gli occhi sui meriti del tuo Figliolo e li troverai come sufficienti, che ti commuoveranno a pietà e compassione. Contempla il mistero della sua incarnazione; perdonami e rimettimi la pena delle mie trasgressioni. Ed ogni volta che tu guardi le piaghe del tuo Figliolo, nascondi e caccia via da te l’orrore dei miei peccati. Quando il suo sangue gronda davanti a te, siano i miei peccati cancellati dal tuo libro. La mia carne fragile ha provocato la tua giusta ira, ma io ti supplico che la purezza della tua carne ti persuada ad usarmi misericordia, e che come la mia carne mi ha fatto peccare, la sua carne mi riconcili a te. La mia disubbidienza ha meritato una grande vendetta, ma la sua ubbidienza merita maggior misericordia. Ciò che l’uomo merita di soffrire, Iddio fattosi uomo merita che gli sia perdonato. 

Quando io considero la moltitudine delle sue sofferenze, io vedo verificato ciò che è stato detto, che Gesù Cristo è venuto nel mondo per salvare i più grandi peccatori. Dunque, come ardisti tu dire, o sventurato Caino, che la tua iniquità era più grande di quanto tu potessi portare? Tu mentisti come un assassino. Le misericordie di un solo Gesù Cristo sono più che potenti e più che sufficienti per lavare un milione di Caini, purché credano e si pentano. I peccati di tutti I peccatori sono finiti, ma misericordia di Dio è infinita. Laonde, oh Dio, per amore dell’amara morte e della sanguinosa Passione che il tuo Figliolo Gesù Cristo ha sofferta per me, e che ora mi rappresento davanti agli occhi, perdonami tutti i miei peccati e liberami dalla maledizione e dalla pena che hanno giustamente meritato. E per i suoi meriti, oh Signore, fammi partecipe della tua misericordia, alla cui porta io picchio con tanto ardire ed ardore. Io nella mia importunità non cesserò di bussare, simile a colui che domandava in prestito i pani dal suo amico, fintanto che tu non ti levi e mi apri la porta della tua grazia. E se tu non vuoi darmi pani interi, Signore, non ricusarmi almeno le briciole della tua misericordia, che contenteranno il tuo povero figliolo affamato. E poiché tu non richiedi altro da me, in riconoscenza di tutte le tue benedizioni, se non che io t’ami d’un cuor sincero (del quale la nuova creatura è il più verace testimonio eterno) e che ti è così facile di me fare una nuova creatura, come di comandarmelo: crea in me, Signor Gesù, un cuor nuovo e rinnova dentro di me il tuo divino Spirito. Allora, essendo mortificato il vecchio Adamo, con tutti I suoi desideri carnali), tu vedrai che io ti servirò come un uomo rigenerato, che io vivrò in novità di vita, che io camminerò per una nuova strada, guidato da una nuova luce; che I miei pensieri, le mie parole, le mie azioni saranno tutte nuove; e che io non sarò più niente se non alla gloria del tuo gran Nome, ad utilità dei tuoi figlioli ed alla conversione delle anime peccatrici, che si avvaleranno del mio esempio. Preservami, o Salvatore mio, dai tormenti dell’inferno e dalla tirannia del Diavolo; e quando io avrò finito il corso di questa vita, manda I tuoi santi angeli che mi portino (come portarono l’anima del povero Lazzaro) nel tuo celeste Regno. Ricevimi allora nel tuo paradiso come ricevesti il ladrone convertito nel giorno della tua morte. 

(Lewis Bayly, 1565-1631)

La salvezza viene dai Giudei

Le Scritture ebraiche dell’Antico Testamento sono e rimangono anche per i cristiani Parola di Dio. Che cosa possiamo imparare da esse in una situazione di emergenza sanitaria come quella che stiamo attraversando? Ho “tradotto” e ampliato ciò che afferma al riguardo il rabbino Alberto Somekh. Rimanete nelle vostre case fintanto che sia passato l’angelo della morte! E’ saggio chi valorizza ed ubbidisce la sapienza rivelata di Dio.

Il Signore Gesù aveva detto alla donna samaritana incontrata al pozzo di Giacobbe una verità che troppo spesso oggi si trascura (a nostro danno), vale a dire: Voi adorate quel che non conoscete; noi adoriamo quel che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei (Giovanni 4:22). Già, essi possono aver errato in varie maniere interpretandole male, ma le Scritture ebraiche erano e rimangono Parola di Dio, e quando quella tradizione vi rimane fedele (come lo è in molti aspetti della sapienza antica), la Legge di Dio (la Torah) va onorata ed ubbidita, così come faceva il Signore Gesù.

Il rabbino Someck mette in evidenza in primo luogo, un principio generale: “voi, che vi teneste stretti al SIGNORE vostro Dio, siete oggi tutti in vita” (Deuteronomio 4:4). In secondo luogo, come rileva il Talmud: “se in città c’è una pestilenza ritira i tuoi passi” (Bavà Qammà 60), cioè: chiuditi in casa. Questo principio è fatto derivare da tre principi.

Il primo è tratto dal racconto dell’ultima piaga d’Egitto, la morte dei primogeniti, scoppiata a mezzanotte. Agli Ebrei fu richiesto di non uscir di casa fino al mattino, perché una volta che il morbo colpisce potrebbe non fare più distinzioni. “Questo è il sacrificio della Pasqua in onore del SIGNORE, il quale passò oltre le case dei figli d’Israele in Egitto, quando colpì gli Egiziani e salvò le nostre case” (Esodo 12:27). E qualora pensassimo che la restrizione è in vigore solo di notte arriva un altro versetto: “Va’, o mio popolo, entra nelle tue camere, chiudi le tue porte, dietro a te; nasconditi per un istante, finché sia passata l’indignazione” (Isaia 26:20), cioè l’ira divina. La pestilenza è espressione dell’ira di Dio! E qualora pensassimo ancora che potrebbe farci bene uscire insieme agli altri per vincere il timore all’interno, ricordiamoci che: “Di fuori la spada [della malattia] e di dentro il terrore spargeranno il lutto, mietendo giovani e fanciulle, lattanti e uomini canuti” (Deuteronomio 32:25). Le recenti disposizioni governative sono dunque perfettamente in linea con la tradizione ebraica e vanno rispettate. 

Ecco così che, come dice il rabbino Someck, chi esce di casa senza motivo non si limita a infrangere una legge dello Stato, ma infrange la Halakhah, cioè la legge comportamentale stabilita da Dio per il Suo popolo. Poi aggiunge: “Confidare in Dio non significa trascurare ciò che umanamente siamo tenuti a fare per preservare la salute nostra e degli altri“. 

In quel caso sicuramente non sono da fare processioni e assembramenti di preghiera! “Tutti ricordiamo Monsignor Mazenta dei Promessi Sposi che durante la peste manzoniana moltiplicava le processioni e così diffondeva la malattia”.

Che cosa possiamo imparare dagli ebrei da una situazione di emergenza sanitaria come quella che stiamo attraversando? Il rabbino dice: “Dobbiamo mettere a frutto questo periodo di clausura. Anzitutto approfittarne per studiare. Io preciserei pure studiare le Scritture per riflettere su noi stessi, identificare I nostri peccati, ravvederci da essi e riconsacrarci a Dio.

In secondo luogo dobbiamo imparare a sviluppare la dimensione domestica dell’Ebraismo, che per molti si è persa nel tempo, dal momento che quella comunitaria, cui siamo ormai abituati ad affidarci, non è al momento disponibile. Rivalutare e coltivare la vita famigliare.

Ma soprattutto dobbiamo imparare a gestire prudenza e pazienza. Pazienza verso l’esterno per via della reclusione forzata. Ma anche e soprattutto pazienza verso l’interno, verso gli altri membri della famiglia con cui ora siamo costretti a condividere spazi e tempi assai aldilà delle nostre normali abitudini. Come dice l’apostolo Pietro (evidentemente ebreo!) “Voi, per questa stessa ragione, mettendoci da parte vostra ogni impegno, aggiungete alla vostra fede la virtù; alla virtù la conoscenza; alla conoscenza l’autocontrollo; all’autocontrollo la pazienza; alla pazienza la pietà; alla pietà l’affetto fraterno; e all’affetto fraterno l’amore. Perché se queste cose si trovano e abbondano in voi, non vi renderanno né pigri, né sterili nella conoscenza del nostro Signore Gesù Cristo” (2 Pietro 1:5-8).

Dice il rabbino Someck: “Anche noi oggi stiamo vivendo un periodo di Din, in cui siamo sottoposti al Giudizio Divino. Lo stesso Ben Ish Chay (rabbino e religioso iracheno, m. 1909) racconta che portava al dito un anello su cui era incisa la scritta: “anche questo passerà”. Nei periodi lieti lo guardava ed evitava l’orgoglio pensando che le gioie terrene hanno comunque un limite. Ma anche nei periodi tristi lo osservava e diceva: “anche questo passerà” e lascerà spazio a qualcosa di differente. … “in misura della sofferenza sarà la ricompensa”. Confidiamo che Dio abbia in serbo per il nostro futuro un bene che ora non siamo minimamente in grado di immaginare. Che possiamo udire solo buone notizie!

E’ saggio chi valorizza ed ubbidisce la sapienza rivelata di Dio.

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