Perché il culto pubblico sospeso? Ne parla la Bibbia!

Della sospensione del culto pubblico se ne parla anche nella Bibbia. La considera un’espressione del giudizio di Dio per l’infedeltà del Suo popolo. Dio tramite il profeta Osea supplica Israele di abbandonare la sua prostituzione spirituale, sotto la solenne minaccia di rimuovere il suo culto pubblico: “Farò cessare tutte le sue feste; quelle annuali e quelle mensili, le celebrazioni del sabato e tutte le sue solenni riunioni religiose” (Osea 2:13). Israele non aveva però ascoltato questo motivo, né sua nazione sorella Giuda, quindi Dio aveva realizzato la sua minaccia. Geremia si lamenta sotto la prigionia babilonese, “Ha ridotto il suo tempio a un giardino

devastato, ha demolito il luogo dove incontrava il suo popolo. Il Signore ha fatto dimenticare in Sion le feste e il sabato. Nell’indignazione della sua collera ha ripudiato re e sacerdoti” (Lamentazioni 2:6). Sebbene da noi i nostri edifici ecclesiastici non siano ancora stati distrutti, non dovremmo affermare con orgoglio che la rimozione temporanea del nostro culto pubblico non sia un giudizio di Dio. Almeno è chiaro, Dio ha promesso che i peccati del suo popolo avrebbero avuto il risultato di chiudere le loro chiese, lo ha sicuramente fatto in passato e lo farà sicuramente in futuro. “Come siete cambiati! Ricordate come eravate da principio, tornate a essere come prima! Altrimenti, io verrò e leverò dal suo posto il vostro candelabro” (Apocalisse 2:5).

Dio dà nella Scrittura molte ragioni per i suoi giudizi sulla chiesa. Una comune è la superstizione, cioè praticare espressioni di culto inventate dall’uomo e non prescritte da Dio stesso. Dio vieta ogni espressione superstiziosa di culto nel secondo comandamento: “Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra, né di quanto è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso”(Esodo 20: 4–5). Ripete questo rifiuto dell’adorazione inventata nelle parole di Cristo contro i Farisei: “Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uominii” (Matteo 15: 9). Poi di nuovo nell’insegnamento di Paolo contro “prescrizioni e insegnamenti di uomini” (Colossesi 2: 21–22). Paolo ammette che “hanno una parvenza di sapienza con la loro falsa religiosità e umiltà e mortificazione del corpo, ma in realtà non hanno alcun valore se non quello di soddisfare la carne” (2:23), vale a dire, hanno origine dalla volontà dell’uomo e non dalla volontà di Dio. Nota anche come il secondo comandamento si concluda con una seria minaccia: “Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano” (Esodo 20: 5). La storia dimostra che questa minaccia non è inattiva. Israele per mano di Aaronne si era fatto vitello fuso e aveva proclamato una festa all’Eterno, celebrata con atti di adorazione e di baldoria (Esodo 32: 3–6). Dio per questo giorno santo non autorizzato aveva minacciato di distruggerli tutti (v. 10), quindi ha ordinato l’esecuzione di circa tremila (v. 28) e una piaga per il resto (v. 35). Non molto tempo dopo, i figli di Aaronne, Nadab e Abihu, furono consumati perché “presentarono davanti al Signore un fuoco illegittimo, che il Signore non aveva loro ordinato” (Levitico 10:12). Il re Uzzia per la sua presunzione di bruciare incenso, sebbene non fosse sacerdote, fu colpito dalla lebbra per tutta la vita (2 Cronache 26: 16–21). E terribilmente, quando il popolo di Dio bruciò i loro figli e le loro figlie nel fuoco, la sua parola di condanna non era che avevano commesso un omicidio, ma piuttosto una superstizione: “…cosa che io non avevo mai comandato e che non avevo mai pensato” (Geremia 7:31). Per questa superstizione il luogo del loro sacrificio inventato sarebbe diventato la valle del loro stesso massacro (v. 32).

Dobbiamo rendere culto a Dio soltanto come egli espressamente prescrive nella sua parola secondo l’esempio delle comunità cristiane descritte nel Nuovo Testamento. Tutto il resto è superstizione che Egli odia. Anche nelle chiese spesso si esprime spesso il culto in forme e contenuti non espressamente prescritti. Giustificarci in varie maniere non vale. Dobbiamo fare solo ciò che è prescritto.

Se I giudizi di Dio nell’Antico Testamento possono sembrarci “duri e spietati” è per ammonirci a prendere le questioni che riguardano il culto molto seriamente.

Non possiamo parlare infallibilmente delle nostre circostanze attuali. Solo Dio conosce tutti i motivi della sua provvidenza. Ma possiamo vedere da questi comandi ed esempi che un’adorazione falsa e superstiziosa merita un giudizio come quello in cui ci troviamo; anzi, uno molto peggio. Pertanto, nella misura in cui oggi la chiesa nutre superstizioni simili a quelle che talvolta avvenivano anche nella chiesa antica, dobbiamo ricordare l’avvertimento di Cristo: “Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo” (Luca 13:5).

L’essenziale

Se tu fossi in punto di morte e cosciente: la tua fede ti porterebbe alla salvezza dell’anima? Non si tratta di una questione accademica o “inopportuna”, anzi! Gli antichi scrittori cristiani erano molto più saggi, responsabili e previdenti di noi al riguardo. “E udii una voce dal cielo che diceva: «Scrivi: d’ora in poi, beati i morti che muoiono nel Signore. Sì – dice lo Spirito -, essi riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono»” (Apocalisse 14:13).

Ci sono momenti in cui solo l’essenziale conta. Cessano le chiacchiere vane e tante discussioni su questioni che improvvisamente non sono più così rilevanti, anzi, che sarebbero fuori luogo. Uno di questi momenti è la malattia e la morte, quella dei nostri familiari ed amici, ma anche la nostra. Potremmo infatti avvicinarci alla nostra morte, soprattutto quando la nostra malattia non è curabile e ne siamo coscienti. 

Le passate generazioni di cristiani vivevano a contatto costante con la malattia – e la morte non era, come lo è spesso oggi, cosa della quale “non bisogna parlarne” o peggio limitarsi a ventilare vane e ipocrite illusioni. Gli autori cristiani del passato sapevano che, in quelle circostanze, accertarsi di essere noi stessi veramente a posto con Dio secondo i canoni biblici, o accompagnare altri a farlo, è di importanza capitale. Essi sapevano che quando stai per morire o vicino a te c’è una persona che sta per morire, il silenzio, le chiacchiere, le tattiche evasive, come pure dare vane illusioni che si presumono consolatorie, sono cose da irresponsabili (se si è cristiani). Già, con i malfattori che stanno per morire sulla croce accanto a Gesù non parli del tempo che fa e non fai discussioni filosofiche e teologiche: “vai sul sodo”, annunci loro l’Evangelo affinché la loro anima sia salva attraverso il ravvedimento e la fede in Cristo.

Lewis Bayley (1565-1631), uno dei miei autori puritani favoriti di solida fede biblica e riformata, e della cui opera “La pratica della pietà” ne sto proponendo da qualche tempo ampi stralci, dedica alla preparazione alla morte (dei propri familiari ed amici) e propria, diversi capitoli che anche noi faremmo bene ad esaminare (e praticare) con attenzione.

Vi propongo qui uno stralcio tratto dal capitolo “Ammonizione a coloro che vanno a visitare un infermo” che commenterò brevemente, non per criticare, ma per evidenziarne la sapienza – quella che ci dovrebbe fare da maestra. Basta criticare: è ora di imparare!

In primo luogo dice:

Coloro che vengono a visitare un infermo devono avere speciale cura di non starsene muti a fissarlo in volto e così imbarazzarlo e turbarlo, né devono chiacchierare oziosamente o porgli delle domande inopportune, come tanti fanno. Se dunque essi vedono che la persona sia in punto di morte, non devono cercare di far finta di nulla o dare vane speranze, ma dovranno con amore e discrezione ammonire la persona nella sua debolezza e prepararla per la vita eterna. Anche solo un’ora ben spesa, quando la vita di una creatura umana giunge al termine, può guadagnarle la certezza della vita eterna. La si consoli non con la vana speranza di questa vita, per non tradire la sua anima a morte eterna. Le si parli francamente del suo stato e le si facciano le seguenti o simili domande.
Quindi, nessuna tattica elusiva o vanamente consolatoria, ma, certo con tatto ed amore, valutando bene la disposizione della persona, siamo chiamati, come cristiani, a “prepararla per la vita eterna” in modo franco ed aperto. Benché questo sia soprattutto il compito del ministro di Dio e degli anziani della comunità cristiana locale, di essi il Bayly non fa cenno, ma parla dei visitatori di un infermo, che evidentemente, per gli argomenti toccati, devono essere credenti sensibili e maturi.

Il Bayly passa così a trattare questo argomento: “Domande da porre ad una persona malata in punto di morte”. Esse trattano dell’essenza della fede cristiana. Non si tratta certo di domande da fare tutte insieme, ma sono una guida con la quale orientarsi tenendo conto di chi abbiamo davanti e delle circostanze in cui ci troviamo. In ogni caso queste domande sono così basilari che potrebbe e dovrebbe pure farsele chi è giovane, sano e pieno di vita… Eccole.

Credi tu che l’Onnipotente Dio, Trinità di Persone in un’unica essenza, con la sua potenza ha creato i cieli e la terra, e tutte le cose ivi contenute? E che egli ancora con la sua provvidenza le governa, tanto che nulla accade in questo mondo, e alla tua persona, se non ciò che la sua divina mano e consiglio abbiano predeterminato debbano accadere? Confessi d’aver trasgredito e infranto i santi comandamenti dell’Onnipotente Iddio in pensieri, parole ed opere? Come pure che, per aver infranto le sue sante leggi, hai ben meritato la maledizione di Dio, che implica tutte le miserie di questa vita ed i tormenti eterni dell’inferno quando questa vita sia terminata, e che Dio giustamente dovrebbe trattarti secondo quanto meriti?

La fede cristiana autentica presuppone Dio, così come egli si rivela nelle Sacre Scritture. Fede o non fede, l’anima di ogni creatura umana, abbandonando con la morte la dimensione terrena, si presenta a Dio davanti al quale dovrà rendere conto di sé stessa. “Tutti … sono destinati a morire una volta sola, e poi sono giudicati da Dio” (Ebrei 9:27). Dobbiamo riconoscere che Dio è il Creatore e sostenitore di ogni cosa, e che Egli è sovrano su ogni cosa ed ha stabilito pure il momento della nostra morte. Dobbiamo riconoscere che malattia, morte e giusta condanna sono il risultato della nostra non-conformità alle sue leggi. A lui dobbiamo accostarci con fede. “Nessuno può essere gradito a Dio se non ha la fede. Infatti chi si avvicina a Dio deve credere che Dio esiste e ricompensa quelli che lo cercano” (Ebrei 6:11).

Non sei dispiaciuto nel tuo cuore di avere infranto le sue leggi, negletto il suo servizio e culto, e così tanto seguito le vie del mondo e quelle dei tuoi piaceri vani? Non vorresti piuttosto condurre una vita più santa, se tu potessi ricominciarla da capo?

Alla consapevolezza del peccato deve accompagnarsi il genuino dispiacimento per aver infranto l’equilibrio della sua legge e quindi la nostra disposizione al ravvedimento. Il peccato è cosa molto seria e non possiamo permetterci di essere disinvolti al riguardo.

Non desideri dal profondo del tuo cuore essere riconciliato con Dio in Gesù Cristo, suo Figlio benedetto, il tuo Mediatore? Egli ora si trova accanto a Dio e sostiene la tua causa (Romani 8:34; Ebrei 9:24).

Al ravvedimento si deve accompagnare il nostro sincero desiderio di riconciliazione con Dio (vale anche quello in extremis) e l’accoglienza senza riserve del solo mezzo che Dio ha stabilito per poterci riconciliare con Dio: il Signore e Salvatore Gesù Cristo.

Rinunci tu ad ogni vana fiducia in altri mediatori o intercessori, santi o angeli che siano (Ebrei 9:11), e credi tu che Cristo Gesù, il solo Mediatore del Nuovo Testamento, sia in grado di salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio (1 Timoteo 2:5; Ebrei 7:25)? E sei tu disposto con l’antico Davide a dire a Cristo: “Chi ho in cielo all’infuori di te? Con te, null’altro desidero sulla terra!” (Salmo 73:25)?

Questo ci deve portare all’espressa rinuncia di ogni altro mediatore fra noi e Dio – solo quegli che Egli ha stabilito. Basta con le ciance, le scuse, i sofismi. La Sua Parola al riguardo è di estrema chiarezza.

Credi e speri fiduciosamente di essere salvato per i soli meriti della morte sacrificale e passione che il tuo Salvatore Gesù Cristo ha sofferto per te? Rinunci a riporre ogni vana speranza di salvezza nei tuoi propri meriti, come pure in qualsiasi altro mezzo o creatura, essendo certo e persuaso che in nessun altro se non Gesù Cristo c’è salvezza? Non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati. A lui tutti i profeti danno questa testimonianza: chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome (Atti 12:12; 10:43).

Davanti a Dio ci possono salvare solo i meriti guadagnati dal Cristo e che Egli nella sua misericordia ci offre. La rinuncia a qualsiasi altro presunto merito è quindi essenziale.

Perdoni tu di tutto cuore ogni torto ed offesa che ti sia stata fatta da qualsivoglia persona? E sei tu disposto volentieri e di cuore a chiedere perdono a chiunque tu abbia fatto un qualche grave torto in parole od opere? Sei tu disposto a cacciare dal tuo cuore ogni odio e malizia che tu avessi intrattenuto verso chiunque affinché tu possa apparire di fronte al volto di Cristo, il principe della pace, in perfetto amore e carità? Dice infatti la Scrittura: “Cercate la pace con tutti e la santificazione, senza la quale nessuno vedrà mai il Signore” (Isaia 9:6; Ebrei 12:14).

Non solo la riconciliazione con Dio è essenziale, prima di morire, ma anche la riconciliazione con chiunque altro noi si abbia fatto un qualche torto attraverso la richiesta sincera di perdono, diretta o indiretta che possa essere.

Senti nella tua coscienza il peso della colpa per averti indebitamente appropriato o sottratto qualcosa da vedove o orfani, o da qualsiasi altra persona? Sii certo che fintanto che non restituirai, come Zaccheo, nella misura del possibile ciò che hai sottratto ad altri, non te ne sarai veramente pentito, e che senza un vero pentimento tu noi puoi essere salvato, né guardare in faccia Cristo quando apparirai di fronte al suo tribunale.

Con il perdono biblicamente va anche la restituzione del maltolto nella misura del possibile, le disposizioni al riguardo e, in ogni caso, l’espressa volontà di farlo!

Credi tu fermamente che il tuo corpo sarà fatto risorgere dalla tomba, al suono dell’ultima tromba? E che il tuo corpo e la tua anima di nuovo congiunti insieme nel giorno della risurrezione per apparire di fronte al Signore Gesù Cristo? e così vivere per sempre in beatitudine e gloria?

Accogliere, infine, senza riserve, la concezione biblica del mondo e della vita, quella che ci è stata trasmessa da così tante generazioni del popolo di Dio, e soprattutto la fede ferma nella risurrezione di Cristo, è essenziale. “Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti” (1 Corinzi 15:20). Moralmente e spiritualmente essere cristiani vuol dire unirsi alla Sua morte e risurrezione, ma questa realtà copre anche il destino del nostro corpo e della nostra anima. Che magnifica certezza!

Il testo di L. Bayly termina (in questa sezione) con queste parole: “Se la persona ammalata risponderà a tutte queste domande come un cristiano fedele, che allora tutti i presenti si uniscano pregando per lui con le seguenti o simili parole”. A questo segue un suggerimento di preghiera, da fare nostro con riconoscenza.

Tutto questo è “l’essenziale” della fede cristiana per chi è sul letto di morte. C’è chi in quel momento purtroppo sarà solo. Ragione di più per verificare tutto questo mentre lo possiamo fare e “portarcelo con sé”. “E udii una voce dal cielo che diceva: «Scrivi: d’ora in poi, beati i morti che muoiono nel Signore. Sì – dice lo Spirito -, essi riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono»” (Apocalisse 14:13).

Vedi qui i capitoli originali del Bayly su questo argomento:

  1. CAP. XLVII. Meditazioni di un ammalato che è vicino alla morte.
  2. Preghiera d’un ammalato che è vicino al suo fine, e si prepara alla morte
  3. CAP. XLVIII. Meditazioni contro la disperazione e li dubbi della misericordia di Dio.
  4. CAP. XLIX. Avvertimento a coloro che visitano gli ammalati e Domande che si debbono fare ad una persona che è vicina al suo fine
  5. Preghiera di coloro che hanno visitato un ammalato
  6. CAP. L. Consolazione contro l’impazienza degli infermi
  7. Consolazioni contro il timore della morte
  8. Sette pensieri santi e sette sospiri ardenti d’un uomo vicino alla morte
  9. CAP. LI. La persona inferma trovandosi in tale stato dee mandar a chiamare qualche buono e fedele pastore
  10. Preghiera d’uno che rende lo spirito
  11. CAP. LII. La pratica di pietà di quelli che muoiono per il Signore


7 segni di un cuore giusto davanti a Dio

DI J.C. Ryle

1) Un cuore giusto è un NUOVO cuore (Ezechiele 36:26). Non è il cuore con cui una persona nasce – ma un altro cuore messo in loro dallo Spirito Santo. È un cuore che ha nuovi gusti, nuove gioie, nuovi dolori, nuovi desideri, nuove speranze, nuove paure, nuovi gusti, nuovi antipatie. Ha nuove opinioni su anima, peccato, Dio, Cristo, salvezza, Bibbia, preghiera, paradiso, inferno, mondo e santità. È come una fattoria con un inquilino nuovo e buono. “Se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove” ( 2 Corinzi 5:17).

2) Un cuore giusto è un cuore CONTRITO ED AFFRANTO (Salmo 51:19). È contrito per essere stato pieno di orgoglio, di presunzione di sé e di essersi creduto giusto. L’alta considerazione che aveva per sé stesso è stata abbattuta, frantumata …fino a livello molecolare. Si ritiene colpevole, indegno e corrotto. La sua precedente testardaggine, pesantezza e insensibilità si sono scongelati, sono scomparsi e sono morti. Non pensa più alla leggera ciò che offende Dio. È tenero, sensibile e gelosamente timoroso di imbattersi nel peccato (2 Re 22:19). È umile tanto da non vedere in sé nulla di buono.

3) Un cuore giusto è un cuore che CREDE SOLO A CRISTO per la salvezza e in cui Cristo dimora per fede (Rom. 10:10 ; Ef 3:17). Poggia tutte le sue speranze di perdono e di vita eterna sull’espiazione di Cristo, sulla mediazione di Cristo e sull’intercessione di Cristo. È stato asperso dal sangue di Cristo e purificato da una coscienza malvagia (Ebr. 10:22). Si volge verso Cristo mentre l’ago della bussola gira verso nord. Si rivolge a Cristo per trovare la pace, la misericordia e la grazia quotidiane, come il fiore del sole guarda il sole. Si nutre di Cristo per il suo sostentamento quotidiano, come Israele si nutriva della manna nel deserto. Vede in Cristo tutto ciò che può soddisfare tutte le sue esigenze e necessità. Si appoggia a Lui, si attacca a Lui, si edifica su di Lui, si rivolge a Lui come suo medico, tutore, marito e amico.

4) Un cuore giusto è un cuore PURIFICATO (Atti 15: 9 ; Matt. 5: 8). Ama la santità e odia il peccato. Si sforza quotidianamente di purificarsi da ogni sporcizia di carne e spirito (2 Cor. 7: 1). Odia ciò che è malvagio e si attacca a ciò che è buono. Si rallegra della legge di Dio e vi è incisa quella legge, per non dimenticarla (Salmo 119: 11). Desidera mantenere la legge più perfettamente, e si compiace di coloro che amano la legge. Ama Dio e le persone. I suoi affetti si basano su cose di lassù. Non è mai così leggero e felice come quando è santo; e attende con gioia il cielo, come il luogo in cui si raggiungerà finalmente la perfetta santità.

5) Un cuore giusto è un cuore che prega. Ha al suo interno “lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!»” (Romani 8:15 ). La sua sensazione quotidiana è: “Cercherò il tuo volto, Signore” (Salmo 27: 8). È attratto da un’inclinazione abituale di parlare a Dio delle cose spirituali – debolmente, debolmente e forse in modo imperfetto – ma parlare deve. Trova necessario riversarsi davanti a Dio, come prima di un amico, e diffondere davanti a Lui tutti i suoi bisogni e desideri. Gli dice tutti i suoi segreti. Non gli trattiene nulla. Potresti anche provare a persuadere una persona a vivere senza respirare, a persuadere il possessore del cuore giusto a vivere senza pregare.

6) Un cuore giusto è un cuore che SENTE UN CONFLITTO al suo interno (Gal. 5:17). Trova in sé due principi opposti che contendono la padronanza: la carne che brama lo spirito e lo spirito contro la carne. Sa per esperienza cosa intende Paolo quando dice: “ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che combatte contro la legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del peccato, che è nelle mie membra” (Romani 7:23). Il cuore non retto non sa nulla di questo conflitto. Quando un uomo forte e ben armato fa la guardia alla sua casa, allora tutti i suoi beni li ritiene falsamente al sicuro (Luca 11:21). Quando, però, il re legittimo prende possesso del suo cuore, inizia una lotta che non finirà se non al termine di questa vita. Il cuore giusto può essere conosciuto sia dalle guerre che ingaggia che dalla sua pace.

7) Un cuore giusto è ONESTO, NON DIVISO e VERACE (Luca 8:15; 1 Cronache 12:33; Ebrei 10:22 ). In esso non si trova nulla che abbia a che fare con menzogna, ipocrisia o falsità. Non è un cuore doppio o diviso. È davvero ciò che professa di essere, sente ciò che professa di sentire e crede in ciò che professa di credere. La sua fede può essere debole. La sua obbedienza può essere molto imperfetta. Ma una cosa distinguerà sempre il cuore giusto. La sua religione sarà reale, autentica, approfondita e sincera.

► Riepilogo:

Un cuore come quello che ho ora descritto, è sempre stato il possesso di tutti i veri cristiani di ogni nome, nazione, popolo e lingua. Hanno magari avuto fra di loro differenze su molti argomenti, ma hanno tutti avuto il cuore giusto. Alcuni sono caduti, per una certo tempo, come Davide e Pietro, ma i loro cuori non si sono mai completamente allontanati dal Signore. Spesso si sono dimostrati uomini e donne carichi di infermità, ma il loro cuore era giusto agli occhi di Dio. Si sono capiti l’un l’altro sulla terra. Hanno scoperto che la loro esperienza è stata ovunque la stessa. Si capiranno ancora meglio nel mondo a venire. Tutto ciò che ha avuto cuori giusti sulla terra, troverà che ha un cuore solo quando entreranno in paradiso.

JC Ryle, Old Paths, “The Heart”, [Carlisle, PA: Banner of Truth, 1999], 348-351.

La Parola di Dio e la Legittima Difesa

[Mio articolo del 2017]

“Se il ladro, colto nell’atto di fare uno scasso, viene percosso e muore, non vi è delitto di omicidio. Se il sole è già sorto quando avviene il fatto, vi sarà delitto di omicidio” (Esodo 22:2-3).

Al cuore del dibattito sul controllo delle armi vi è la questione della legittima difesa. I cittadini possono desiderare di possedere un’arma per la caccia ed a fini ricreativi, ma la ragione principale di possedere un’arma è la legittima difesa contro i criminali e contro un governo tirannico. Un qualsiasi testo biblico che tratti di legittima difesa è centrale per determinare il diritto di possedere un’arma secondo la Legge di Dio. Forse il testo più cruciale per affrontare l’argomento è il testo sul diritto all’audo-difesa di Esodo 22:2-3.

Questo testo biblico compare nella porzione del Pentateuco conosciuta come “Il libro dell’Alleanza” (Esodo 21-23). Il Libro dell’Alleanza segue subito dopo i Dieci Comandamenti, e fornisce un’applicazione concreta ai principi di verità e giustizia contenuti nei Dieci Comandamenti attraverso “statuti e giudizi”.

Il contesto di Esodo 21:2-3 tratta del furto e del risarcimento. Nell’ambito della discussione sul furto viene presentato il caso di un ladro colto nell’atto di fare uno scasso. Nel caso di questa legge sono presentati due scenari.

Nel primo scenario, il ladro viene “colto nell’atto di fare uno scasso”, vale a dire, il ladro si introduce in casa dal tetto, dalla finestra o dalla porta durante le ore della notte. Vi è così l’ingresso forzato in una casa (o in una proprietà privata) e il proprietario sorprende il ladro. A questa situazione di allarme e minaccia (nel buio della notte non conosce l’intenzione, identità ed armi dell’intruso) il proprietario risponde uccidendo il ladro, che probabilmente è armato. La dichiarazione della Legge di Dio è che in queste circostanze il proprietario è innocente da atti illeciti ed è pienamente giustificato nell’usare forza letale per difendere sé stesso e la sua famiglia

La seconda circostanza implica un ladro “colto nell’atto di fare uno scasso” in una circostanza diversa, in questo caso “se il sole è già sorto” e, presumibilmente, il proprietario può identificare le intenzioni dell’intruso e vede che non è armato e che non pone una minaccia alla sua vita o integrità fisica, ma è semplicemente un ladro. Ciononostante, il proprietario uccide il ladro. In queste corcostanze il proprietario che fa uso di un arma letale è colpevole del delitto d’omicidio. Non si tratta quindi di legittima difesa (perché non è stato attaccato o minacciato), ma di un atto brutale contro una persona disarmata la cui sola indenzione è di sottrarre proprietà. La pena del furto è la restituzione, non la morte. Si tratta così del caso di soppressione non autorizzata di una vita umana e quindi è omicidio, punibile con la morte. La Legge di Dio autorizza la protezione della vita con l’uso di forza letale se necessario, ma la Legge di Dio non permette la difesa della proprietà allo stesso modo.

È importante notare che il caso presentato qui è quello di un ladro che implica lo spargimento del sangue. Questo caso è quindi un’applicazione della giustizia del Sesto Comandamento: “Non uccidere” (Esodo 20:13). Di conseguenza, la legge biblica sulla legittima difesa ci autorizza a difendere la nostra vita contro persone malvage che odiano Dio, la Sua Legge e la vita del loro prossimo.. Possiamo presumere che coloro che ci minacciano fisicamente con armi, disprezzano la vita che Dio ci ha dato, e quindi, noi possiamo difendere noi stessi contro un tale male fino al punto di uccidere il nostro assalitore.

Per concludere: consideriamo le implicazioni di Esodo 22:2-3 per il diritto alla legittima difesa.

  • Questo caso stabilisce il diritto alla legittima difesa. La Legge di Dio permette ad una persona di difendere sé stessa e la sua famiglia. Questa difesa potrebbe richiedere l’uso di forza letale, e quindio implica l’uso di armi.
  • Se una persona non è colpevole quando uccide un intruso sulla base della supposizione che possa essere armato o essere una minaccia per lei e la sua famiglia, ancora di più la Legge di Dio autorizza l’auto-difesa contro un assalitore armato che minaccia chiaramente la sua integrità fisica. Una persona è giustificata nel difendere sé stessa ogni qual volta è attaccata o la sua vita è in pericolo.
  • La responsabilità primaria per la difesa contro attacchi violenti è la responsabilità personale. La difesa della propria vita e quella della propria famiglia è principalmente una responsabilità individuale, non la responsabilità della comunità o del governo (le istituzioni). Non c’è alcuna indicazione che l’antico Israele avesse una forza di polizia o esercito regolare. Gli uomini armati di Israele, sotto la direzione dei loro magistrati, erano l’esercito. Vi è certamente la necessità di amare il nostro prossimo e di venirgli in aiuto se lo possiamo fare. La prima linea di difesa contro la violenza e l’aggressione è la persona che è pronta ad usare la forza necessaria per difendere la sua vita e coloro dei quali è responsabile (ad esempio la sua famiglia).
  • Ogni tipo di arma è ammissibile per la legittima difesa. In questo caso la legge non dice che il proprietario è colpevole se fa uso di una spada ma non colpevole se fa uso di una mazza. La questione non è di quali armi, ma il diritto all’autodifesa. La Legge di Dio non fa una distinzione arbitraria fra armi accettabili o non accettabili per la legittima difesa. Non ci sono leggi bibliche che limitano l’accesso di cittadini alle armi necessarie per la legittima difesa, Limitare l’accesso dei cittadini ad armi letali (ad esempio armi da fuoco) vuol dire limitare la propria capacità di auto-difesa. Controllo delle armi vuol dire controllo della legittima difesa, e quindi potrebbe dire pregiudicarla. Chi vorrebbe che fosse controllata e limitata la capacità dell’individuo a difendersi, se non deliquenti e tiranni?
  • Il caso di questa legge biblica è di per sé un grande deterrente per i criminali. Dopo tutto, i cittadini sono armati ed autorizzati ad uccidere, se necessario, intrusi ed aggressori!
  • Questo caso, inoltre, mette dei freni all’individuo nell’uso delle armi nell’auto-difesa. Deve fare molta attenzione, affinché non faccia uso di forza letale quando non sarebbe necessaria. Se lo fa lo pagherebbe con la vita.

Chi è maggiormente stupido e irresponsabile?

Di fronte alle crisi globali sentiamo spesso richiami alla preghiera e questo va bene. Quando, però, sentiamo leader religiosi dalle loro finestre o pulpiti che ci chiamano all’ubbidienza a quanto Dio ci ha rivelato nella Bibbia ed al ravvedimento per non averlo fatto? E’ da migliaia di anni, infatti, che Dio ci ha insegnato la prevenzione delle malattie e l’igiene, ma e ancora oggi c’è chi mette da parte come “superata” la legge biblica e la deride, persino nelle chiese! C’è sempre un buon motivo per tutto ciò che Dio ci comanda di fare o di non fare.

Se uno studiasse attentamente le istruzioni di Dio agli israeliti, suo popolo eletto, vedrebbe come molte di quelle istruzioni di fatto precorrono i tempi e se si fossero prese seriamente tanti problemi nel mondo non ci sarebbero stati e non continuerebbero ad esserci e a mietere vittime. Ad esempio, Dio ha detto che il topo, la talpa, le lucertole, ecc. sono “animali impuri” e non dovremmo nutrircene. Davvero sono comandamenti “stupidi”? Non dovevano mangiarli o usare qualsiasi contenitore che li toccassero a meno che non potesse essere purificato con acqua corrente (Levitico 11: 29-38).

Non a caso Dio aveva comandato di separare anche i lebbrosi dal resto del popolo e aveva dato precise indicazioni per sapere che cosa fosse lebbra (Levitico 13:1-46). Aveva avvertito anche che la lebbra poteva essere diffusa da abiti o altre cose (Levitico 13:39-59). Altre malattie potevano essere diffuse da secrezioni dal corpo di una persona malata (Levitico 15:1-33). Dio aveva dato a Israele leggi sulla conservazione del cibo e la pulizia degli utensili come pure la promessa: “Se tu ascolti attentamente la voce del SIGNORE che è il tuo Dio, e fai ciò che è giusto agli occhi suoi, porgi orecchio ai suoi comandamenti e osservi tutte le sue leggi, io non ti infliggerò nessuna delle infermità che ho inflitte agli Egiziani, perché io sono il SIGNORE, colui che ti guarisce” (Esodo 15:26).

Nel libro dei Numeri, Dio disse che chiunque toccasse un cadavere sarebbe stato “impuro” – e da mettersi in quarantena. Doveva lavarsi il terzo e 7 ° giorno. Chiunque o qualcosa nella tenda quando uno è morto era impuro e deve lavarsi o essere lavato con acqua corrente per essere “purificato”, così come essere cosparso di ceneri e acqua speciali, quindi poteva mescolarsi con gli altri (Numeri 19:11-19). Dio, poi, esigeva che la coppia di un uomo e una donna fossero reciprocamente sessualmente fedeli e aveva avvertito chiaramente che l’infedeltà sessuale (o la promiscuità) è causa di malattie mortali (Proverbi 7: 1-23). In Levitico 3:17. Dio proibisce di mangiare grasso o sangue: oggi è noto come possa causare vari problemi fisici.

Abbiamo l’esempio storico del Dr. Semmelweis che lavorava in un ospedale di Vienna. Lì 1 madre su 6 stava moriva di parto. Perché? Il dott. Semmelweis non si lavava le mani passando da un paziente all’altro, e persino dopo avere fatto autopsie. Il dottor Semmelweis era giunto alla conclusione che lavarsi le mani tra autopsie e pazienti avrebbe ridotto le morti. Applicando quella semplice regola il tasso di mortalità effettivamente diminuiva, ma si erano stancati di così tanto di lavarsi che quella regola l’avevano sospesa. In realtà deridevano il Dr. Semmelweis e lo disprezzavano, ed alla fine lui pure fu licenziato! Eppure migliaia di anni prima Dio aveva detto chiaramente che era essenziale lavarsi, essere purificati.  

Uno studio più attento di Esodo, Numeri e Levitico ci stupirebbe. Davvero sono libri “primitivi” e “superati”? Noi pensiamo di sapere meglio, ma… sono pieni di pratiche e procedure che promuovono la prevenzione e la salute migliaia di anni prima di noi che, basati su verità scientifiche solo ora scopriamo quello che dice la medicina, la scienza e la tecnologia moderne. Si tratta esattamente di quello che ci aspetteremo se l’universo fosse stato creato da Dio [ed è stato creato da Lui] e ci avesse dato le sue Scritture ispirate [così come ha fatto]. 

Ma si sà, oggi si ride delle “stupide” prescrizioni date ad Israele, suo popolo… Chi è più stupido, però?